Interessi nazionali/Il principio di sussidarietà che favorisce l’integrazione

Interessi nazionali/Il principio di sussidarietà che favorisce l’integrazione
Si commetterebbe un errore se si ritenesse, nella costruzione europea, che il principio di sussidiarietà, a cui si è richiamata la premier Giorgia Meloni a...

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Si commetterebbe un errore se si ritenesse, nella costruzione europea, che il principio di sussidiarietà, a cui si è richiamata la premier Giorgia Meloni a Bruxelles, venerdì scorso , sia esclusiva espressione di una visione sovranista. Il principio, secondo il quale ciò che può essere fatto meglio a livello nazionale non va accentrato, é alla base dei Trattati fondativi dell’Europa, a cominciare, come voluto dai Padri dell’integrazione, da quelli di Roma. Il Trattato di Maastricht ha rinforzato il principio, rilanciato dal Trattato di Lisbona. 

 

 

Oggi il Trattato Ue prevede la sussidiarietà e non in secondo piano: essa è essenziale per il significato di prossimità al cittadino, ma è pure particolarmente importante perché l’integrazione si sviluppi lungo linee fondamentali. Il “centro” deve dimostrare con i fatti che il suo operare è necessario e costituisce, quando ciò accade, la sola via per raggiungere un dato risultato o comunque per raggiungerlo in modo efficace. Al principio in questione si affianca quello della proporzionalità che vuole che gli interventi pubblici dei diversi livelli siano commisurati alle finalità perseguite e ai risultati sperati, senza eccedere dagli ambiti fissati. Concorrono altresì i principi, universali, della ragionevolezza e dell’adeguatezza, nonché, più specificatamente, dell’attribuzione al livello nazionale delle competenze sue proprie.

Finora il principio di sussidiarietà non ha avuto una doverosa attenzione: anzi spesso è stato ritenuto un freno confondendo, volutamente o no, il suo richiamo con quelli propri di linee sovranista. Ne sa qualcosa Antonio Fazio, già Governatore della Banca d’Italia, che rigorosamente in questi anni ha analizzato il principio in questione in relazione alla necessità delle riforme di struttura, ancora oggi inattuate, e solo per questo lo si è ritenuto, gravemente o volutamente errando, favorevole a bloccare l’integrazione. Come si è detto, la sussidiarietà richiede un impegno per il rispetto e l’attuazione.

E questo fa capo ai Parlamenti, a cominciare da quello di Strasburgo, ai Governi, alla Commissione Ue, ma anche, all’occorrenza, agli organi giurisdizionali. Anche le sedi tecniche che preparano le misure legislative o amministrative in sede comunitaria con il concorso di dirigenti pubblici dei partner europei dovrebbero non trascurare la sussidiarietà. Anche perché esistono casi eclatanti come, per citarne uno, quello della pretesa di applicare alle Bcc, banche vocate al territorio locale, disposizioni vigenti per le grandi banche sol perché le Bcc fanno obbligatoriamente parte di gruppi bancari cooperativi nazionali.

Quando Guido Carli, allora ministro del Tesoro, firmò il Trattato di Maastricht mentre gli tremava la mano, come poi egli disse, ebbe l’assicurazione della piena autonomia delle politiche economiche nazionali, proprio nel rispetto della sussidiarietà, ma poi questa condizione si è andata di fatto drasticamente riducendo. In definitiva, la sussidiarietà, nell’interesse innanzitutto di un’operosa integrazione pur con i suoi ostacoli e i suoi limiti, ma pure dell’interesse nazionale andrebbe sostenuta con impegno e con la coerenza del lavoro che ne discende

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Il Messaggero