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Hanno avuto la loro importanza i Gay Pride, che lanciavano un grido di visibilità e di libertà, e rompevano totem e tabù. Ma c’è da chiedersi a questo punto, quando la società aperta fa ormai convivere i diritti di tutti e le discriminazioni di genere sono superate anche se non in maniera generalizzata e guai ad abbassare la guardia sulla violenza, se l’enfasi della cerimonia e la retorica dell’orgoglio Lgbtq+ non siano più rivolte al passato che al futuro. Siamo al paradosso Gay Pride. E’ quello di voler rimarcare una cosiddetta diversità, per superarla come se non fosse già largamente superata, ma in realtà la ribadisce, la sottolinea, la assolutizza. E non aveva torto lo scrittore Aldo Busi che una volta disse: «Quando vedo uno con le paillettes, a me viene il nervoso. Vorrei che sfilassero con le tute da lavoro e con addosso l’unico cartello che avrebbe senso: sono gay e pago le tasse come te». La normalizzazione dei diritti, la combinazione paritaria delle scelte, il rispetto di ogni opzione sessuale rischiano di rendere obsoleto, o appunto paradossale, l’ennesimo Gay Pride.
Il massimo dell’orgoglio Lgbtq+ dovrebbe stare nel superamento dell’auto-celebrazione, nell’uscita dal rito della parata, nella fine dell’ansia propagandistica.
E la spettacolarizzazione delle questioni di genere non rende un buon servizio alla causa. Quando invece queste materie, così come tutti i temi riguardanti l’amore e il rispetto, andrebbero maneggiati con grande cura e serietà. Senza minimamente dare adito a reazioni inaccettabili, a vere e proprie dimostrazioni di ottusità reazionaria come quelle, che fanno ridere e indignano, dei poster comparsi in queste ore sui muri della città: «No a Roma capitale dell’orgoglio omosessuale». Se appunto tutto si riduce alla scimmiottatura delle guerre di religione, non solo cadono le braccia ma occorre cambiare spartito. Partendo da un punto: la laicità è la migliore forma di convivenza civile e proprio per questo viene da domandarsi - ecco un altro paradosso - quanto sia davvero laica una cerimonia che trasforma la trasgressione in conformismo. Magari mettendo in ombra il bisogno poco mediatico e poco altisonante di migliorare nella vita quotidiana, che non è fatta di feste, la qualità dello stare insieme rispettandosi a vicenda.
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