Vecchie contese, nuove rivalità: è l'estrema sintesi del riesplodere dello scontro tra India e Cina nella regione dell'Aksai Chin, incuneata tra il Kashmir...
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Tra l'indipendenza indiana (1947) e oggi le tensioni confinarie tra i due Paesi sono state ricorrenti eppure raramente sono divampate oltre il livello della scaramuccia.
Con la fine della Guerra fredda Cina e India hanno cercato di instradare i loro rapporti su un sentiero non apertamente ed esclusivamente conflittuale, nonostante la relazione sempre più stretta che legava il Pakistan a Pechino e il deciso riavvicinamento tra Delhi e Washington. Nel frattempo, però, due torsioni a livello globale sono intervenute, producendo ricadute ancora in via di definizione sugli equilibri dell'intero continente asiatico. A partire dalla crisi finanziaria del 2008, la Cina ha iniziato a mettere concretamente in discussione la leadership globale degli Stati Uniti e il ruolo che il risorto impero del dragone dovesse ricoprire sullo scacchiere planetario. Quest'anno, l'esplodere della pandemia ha rimescolato ulteriormente le carte, riproponendo a fasi alterne momenti favorevoli all'amministrazione Trump o al governo di Xi per i rispettivi tentativi di avvantaggiarsi nei confronti del rivale. La pandemia, proprio per il suo andamento rapsodico e non sincrono, ha messo in crisi tanto le certezze americane quanto quelle cinesi a livello interno e internazionale ma ha destabilizzato anche il quadro degli assetti regionali.
In Asia ha ribadito un punto che era già molto chiaro prima. I cinesi continuano a puntare con decisione all'egemonia continentale, gli americani continuano a contrastarla. Su questo sfondo la pandemia si muove come un carico male assicurato su una nave che solchi acque tempestose: provocando continui sbilanciamenti, nei quali persino gli attori minori della regione vedono finestre di opportunità per rafforzare la propria posizione o ribadire i propri interessi. Così, ad esempio, due giorni fa la Corea del Nord ha provato a riproporre a entrambi i contendenti la propria centralità (a uno come alleato, all'altro come problema), perché dalla fuoriuscita della questione coreana dalle agende di Washington e Pechino il regime di Kim ha tutto da perdere e nulla da guadagnare.
Pensare che in uno scenario tanto instabile, i rapporti tra Cina e India potessero restare quieti era evidentemente un'ingenuità. Il progetto di avviluppamento e attrazione a sé dell'intero continente asiatico da parte cinese attraverso la nuova via della seta ha subito un colpo molto duro dalla pandemia. La Cina ha visto appannato il proprio soft power e la narrazione che prospettava l'ineluttabilità della sua ascesa. Ma la ricomparsa del covid-19 proprio nella capitale rischia di incrinare anche sul piano interno la credibilità del regime. E allora che cosa meglio di una escalation controllata nel nome dell'orgoglio nazionale, che oltretutto interviene in un momento in cui l'India è colpita in maniera formidabile dalla pandemia e gli Stati Uniti sono alle prese con una crisi interna multidimensionale (costituzionale, politica, sociale, sanitaria, economica)? Lo sfruttamento del patriottismo per cavarsi d'impiccio e distrarre la propria opinione pubblica non è certo un'esclusiva di questo o quel Paese, di un regime o di un altro. Il fatto che l'ammassamento di truppe cinesi al confine risalga ai primi di maggio avvalora il sospetto che la tensione sino-indiana giunga per Pechino tutt'altro che inaspettata, indesiderata e persino non ricercata. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero