Vittorio E. Parsi
Vittorio E. Parsi

Turbolenze in Asia/ Offensiva post Covid: la miccia della Cina

di Vittorio E. Parsi
3 Minuti di Lettura
Giovedì 18 Giugno 2020, 00:52 - Ultimo aggiornamento: 09:03
Vecchie contese, nuove rivalità: è l'estrema sintesi del riesplodere dello scontro tra India e Cina nella regione dell'Aksai Chin, incuneata tra il Kashmir controllato dall'India e quello amministrato dal Pakistan. Ma dovremmo chiederci quanto l'incertezza che la pandemia ha gettato sugli equilibri internazionali e regionali stia giocando un ruolo crescente su questo e altri possibili focolai di tensione, soprattutto in Asia. Nel corso dell'ultima settimana almeno 20 soldati indiani sono stati uccisi, e un numero imprecisato risulta al momento disperso, come conseguenza di una serie di scontri a fuoco con l'esercito di Pechino. Si tratta di un'escalation che arriva dopo che, nel corso degli ultimi 45 giorni mentre il mondo era distratto dalla pandemia la Cina aveva ammassato 10.000 militari a ridosso della linea di demarcazione fissata tra i due giganti asiatici a seguito della breve guerra che nel 1962 aveva visto le forze di Nuova Dehli soccombere rapidamente all'offensiva cinese. La disputa confinaria è molto più antica e risale a fine 800, ai tempi del Raj britannico, quando Londra impose a Pechino la definizione del lungo confine comune. Allora l'Impero britannico era al suo zenit, quello cinese al suo nadir.
Tra l'indipendenza indiana (1947) e oggi le tensioni confinarie tra i due Paesi sono state ricorrenti eppure raramente sono divampate oltre il livello della scaramuccia.
Con la fine della Guerra fredda Cina e India hanno cercato di instradare i loro rapporti su un sentiero non apertamente ed esclusivamente conflittuale, nonostante la relazione sempre più stretta che legava il Pakistan a Pechino e il deciso riavvicinamento tra Delhi e Washington. Nel frattempo, però, due torsioni a livello globale sono intervenute, producendo ricadute ancora in via di definizione sugli equilibri dell'intero continente asiatico. A partire dalla crisi finanziaria del 2008, la Cina ha iniziato a mettere concretamente in discussione la leadership globale degli Stati Uniti e il ruolo che il risorto impero del dragone dovesse ricoprire sullo scacchiere planetario. Quest'anno, l'esplodere della pandemia ha rimescolato ulteriormente le carte, riproponendo a fasi alterne momenti favorevoli all'amministrazione Trump o al governo di Xi per i rispettivi tentativi di avvantaggiarsi nei confronti del rivale. La pandemia, proprio per il suo andamento rapsodico e non sincrono, ha messo in crisi tanto le certezze americane quanto quelle cinesi a livello interno e internazionale ma ha destabilizzato anche il quadro degli assetti regionali.
In Asia ha ribadito un punto che era già molto chiaro prima. I cinesi continuano a puntare con decisione all'egemonia continentale, gli americani continuano a contrastarla. Su questo sfondo la pandemia si muove come un carico male assicurato su una nave che solchi acque tempestose: provocando continui sbilanciamenti, nei quali persino gli attori minori della regione vedono finestre di opportunità per rafforzare la propria posizione o ribadire i propri interessi. Così, ad esempio, due giorni fa la Corea del Nord ha provato a riproporre a entrambi i contendenti la propria centralità (a uno come alleato, all'altro come problema), perché dalla fuoriuscita della questione coreana dalle agende di Washington e Pechino il regime di Kim ha tutto da perdere e nulla da guadagnare.
Pensare che in uno scenario tanto instabile, i rapporti tra Cina e India potessero restare quieti era evidentemente un'ingenuità. Il progetto di avviluppamento e attrazione a sé dell'intero continente asiatico da parte cinese attraverso la nuova via della seta ha subito un colpo molto duro dalla pandemia. La Cina ha visto appannato il proprio soft power e la narrazione che prospettava l'ineluttabilità della sua ascesa. Ma la ricomparsa del covid-19 proprio nella capitale rischia di incrinare anche sul piano interno la credibilità del regime. E allora che cosa meglio di una escalation controllata nel nome dell'orgoglio nazionale, che oltretutto interviene in un momento in cui l'India è colpita in maniera formidabile dalla pandemia e gli Stati Uniti sono alle prese con una crisi interna multidimensionale (costituzionale, politica, sociale, sanitaria, economica)? Lo sfruttamento del patriottismo per cavarsi d'impiccio e distrarre la propria opinione pubblica non è certo un'esclusiva di questo o quel Paese, di un regime o di un altro. Il fatto che l'ammassamento di truppe cinesi al confine risalga ai primi di maggio avvalora il sospetto che la tensione sino-indiana giunga per Pechino tutt'altro che inaspettata, indesiderata e persino non ricercata.
© RIPRODUZIONE RISERVATA