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La politica italiana non è mai stata troppo generosa con i più giovani. Tante parole ma pochi fatti. La spesa per pensioni, per esempio, è di circa 300 miliardi l’anno: quattro volte tanto quella per l’istruzione. Per non parlare della spesa per gli investimenti, vero motore della crescita e del benessere futuri. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il più recente e potente complesso di investimenti degli ultimi anni, vale sì oltre 200 miliardi di euro: ma questi sono spalmati su un periodo di ben cinque anni. E la garanzia che siano spesi bene, naturalmente, non c’è. Forse questa mancanza di attenzione è figlia anche di una Costituzione che tanto interessata ai giovani non lo è mai stata davvero. Non è una bestemmia ammetterlo. E la dimostrazione è anche piuttosto semplice. L’articolo 3, forse uno dei più noti e ricordati, stabilisce l’uguaglianza dei cittadini contro tutte le discriminazioni (sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali), ma senza fare esplicito riferimento a quella basata sull’età. Laddove altri Stati (solo per citarne alcuni: Brasile, Portogallo, Svezia e Svizzera), al contrario, la prevedono.
Le cose, però, sembra stiano lentamente cambiando. Almeno per quanto riguarda i contenuti della nostra Carta costituzionale. Un implicito riferimento all’interesse delle future generazioni era stato infatti introdotto a partire dal 2014 con il cosiddetto “pareggio di bilancio” (più propriamente: il criterio dell’equilibrio del saldo strutturale di bilancio). Il controllo del deficit e, conseguentemente, del debito pubblico dovrebbe infatti garantire adeguate risorse finanziarie – e quindi diritti - anche nel futuro. Ancora più coraggiosamente, e finalmente in maniera esplicita, l’«interesse delle future generazioni» è approdato da poche settimane tra i “principi fondamentali”, nello specifico all’articolo 9, grazie alla recente modifica costituzionale sulla tutela ambientale. Ma al di là dell’orgoglio o meno di avere una Costituzione che tuteli anche questo aspetto, vale la pena di chiedersi quali potranno essere le conseguenze pratiche della novità.
Il tema è di strettissima attualità: da un giorno all’altro, se Putin dovesse realmente smettere di accettare pagamenti in valuta diversa dal rublo, dovremmo fare a meno del gas e del petrolio russi. Che, giusto per memoria, valgono, insieme al carbone di stessa provenienza, per circa il 30% del fabbisogno energetico italiano. Un’enormità. E una follia, anche se fossimo in una situazione di pace. O anche se fosse con un Paese meno ostile e tradizionalmente più amico. È evidente che la reazione del governo agli attuali problemi debba essere anche di breve periodo: bene la riduzione delle accise (meglio ancora se fosse una mossa strutturale e non solo temporanea); bene gli interventi per calmierare le bollette; bene anche, in questa situazione, lo sforzo per una posizione comune europea su un tetto ai prezzi. Ma una strategia energetica deve basarsi su visioni di medio e di lungo periodo. Anzi, o è così o non si può proprio definire strategia.
Come allora occuparsi del benessere, anche energetico, delle future generazioni? Le direzioni dovranno essere almeno due. La prima è quella più ovvia: investire in nuovi impianti energetici, alla ricerca di fonti sempre più sicure e rispettose dell’ambiente, oppure potenziare lo sfruttamento responsabile delle fonti giù utilizzate, magari con tecnologie migliori e più moderne. In questo frangente, il rapporto con l’ambiente è fondamentale. Da un lato, come già ricordato, perché la tutela delle future generazioni in Costituzione entra proprio grazie alla tutela ambientale; dall’altro lato, perché energia e ambiente sono argomenti che spesso portano a contrasti, molto più spesso ideologici che fattuali. La produzione di energia non può portare alla devastazione di un territorio, è chiaro; d’altro canto, bloccare ogni iniziativa non è vera difesa dell’ambiente ma solo difesa della propria posizione ideologica e rendita elettorale. La seconda direzione, invece, prevede un processo politico altrettanto delicato: quella della costruzione di reti, innanzitutto continentali, di cooperazione e collaborazione sui temi energetici, dalla produzione in proprio fino all’acquisto e alla sua distribuzione.
Entrambe le direzioni richiedono elevata propensione al confronto e al compromesso e apertura delle parti in gioco. Caratteristiche fondamentali se non si vuol derubricare l’interesse per il futuro a ennesima lettera morta della nostra Costituzione. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero