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La grande sete sta disidratando l'agricoltura, tra produzioni a rischio e filiere costrette a riorganizzarsi.
Le prospettive sono poco incoraggianti e il governo corre ai ripari: proprio in queste ore si è tenuto il primo vertice interministeriale per l'emergenza siccità , presieduto da Giorgia Meloni . La task force valuta un piano di interventi a breve scadenza e una programmazione di più ampio respiro. Anche perché le piogge di questi giorni, pur auspicate, non sistemeranno certo le cose. Il quadro resta infatti allarmante: la penuria d'acqua sta già pregiudicando i raccolti, o comunque obbligando le aziende a rivedere al ribasso semine e sm. Un terzo del Made in Italy è in bilico, a cominciare dalla Pianura Padana e dal Piemonte , cioè food valley e risaia d'Italia. Ma va in affanno anche il comparto energetico: nel 2022, a causa della siccità, la produzione idroelettrica è calata del 37,7%, e quest'anno potrebbe andare ancora peggio. Le piogge scarseggiano e le riserve idriche sono quasi a secco, all'appello mancano 50 giorni di precipitazioni, il Poei grandi laghi si prosciugano ei pochi invasi languono. Il fiume che disseta e nutre il Nord fa registrare portate al di sotto del minimo storico: lo scarto con la media in alcuni tratti arriva fino al -73%. Nel 2022 il calo di pioggia è stato oltre il 40%, l'anno in corso promette una tendenza ulteriormente in flessione, e la mappa del Paese si ribalta: la siccità, atavica piaga del Sud, sta invadendo le regioni settentrionali, peraltro sprovviste di un'adeguata rete d'invasione. Tutto il sistema idrico nazionale è incapace di intrappolare le piogge, sempre più imprevedibili e irregolari: solo l'11% dell'acqua viene accumulato e messo a disposizione per gli usi irrigui in agricoltura. Urgono allora investimenti strutturali e organici: carenze e difficoltà sembravano attente da abbondanza e puntualità delle precipitazioni, ma è uno scenario ormai irreale. Da tempo.
I CAMBIAMENTI
«È dal 2017 che la siccità si sposta al Nord – spiega Donato Rotundo , responsabile Direzione politiche sviluppo sostenibile e innovazione di Confagricoltura – e così il danno produttivo aumenta e gli effetti sono devastanti. Ora, in tutta Italia, anche in presenza di piogge rilevanti non riusciremo a recuperare la disponibilità idrica media necessaria all'agricoltura». Non è agevole quantificare e men che meno prevedere la batosta per il comparto agricolo. La stima per lo scorso anno è di 6 miliardi di euro di danni, circa il 10% della produzione lorda vendibile: per il 2023 l'asticella difficilmente s'abbasserà, e potrebbe persino essere alzata. «Le semine delle prossime settimane – commenta Lorenzo Bazzana , responsabile economico di Coldiretti – sono condizionate dalle aspettative di carenza idrica: non solo nelle risaie, ma anche per le orticole e per la coltivazione del pomodoro da industria il rischio di non avere acqua a sufficienza indurrà a scelte imprenditoriali diverse.
La rilevazione dell'Anbi, l'associazione nazionale dei consorzi di bacino, è da allarme rosso: in Val d'Aosta il manto nevoso si sta riducendo ovunque, in Piemonte calano tutti i fiumi (il Sesia è a -74%); in Lombardia il manto nevoso è al 59% della media storica, le riserve idriche fanno -52,7% sul trend del periodo, la portata dell'Adda è nettamente inferiore a quella dei più recenti anni siccitosi, il lago di Garda è in conclamata crisi idrica e il bacino resta al di sotto dei 45 centimetri (mezzo metro più basso della norma, livello lo scorso anno toccato a luglio). Non va meglio in Centro Italia, spiegano dall'Anbi : «Costante la decrescita del fiume Tevere , dall'Umbria fino alla foce. La portata dell'Anieneè meno della metà della media storica, il lago di Bracciano rimane a un livello più basso di 14 centimetri rispetto al 2022 e di circa 30 centimetri rispetto al 2021» .
GLI INTERVENTI POSSIBILI
Come venirne fuori? Piano invasi, investimenti, tecnologia: è l'auspicio di tutti. A cominciare dall'Anbi: «È necessario dare il via a interventi per aumentare le riserve d'acqua – indica la strada Massimo Gargano, direttore generale – dall'efficientamento delle opere esistenti alla realizzazione di nuovi bacini multifunzionali, come previsto dal Piano laghetti di Anbi e Coldiretti». «Con questo piano – fa eco proprio Bazzana – possiamo arrivare a intercettare e trattenere il 50% dell'acqua piovana, sfruttando ex cave, invasi e laghetti. Non solo avremmo più risorsa idrica, ma rendemmo meno violente le bombe d'acqua». Il piano mette nero su bianco 10mila interventi da realizzare entro il 2030, i primi 223 progetti sono esecutivi, alcuni già realizzati. Ma non bastano e il ritardo è lampante. «Andrebbe messo insieme il lavoro dei ministri, e bisogna consultare le parti coinvolte. E oltre al potenziamento dei bacini è necessario anche il recupero delle acque reflue», suggerisce Rotundo. Il Pnrr è l'inevitabile opportunità citata dalle associazioni di categoria, «per riprogrammare gli interventi» e per coordinarli con «Pac e fondi di coesione territoriale», immaginando «una progettualità di lungo termine». Perché la grande sete ormai non è un'eccezione, ma l'oro blu va comunque garantito a tutti.
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