Lotta alla burocrazia, Cassese: stavolta si fa come in Usa

Lotta alla burocrazia, Cassese: stavolta si fa come in Usa
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ROMA «Qual è il cuore della questione burocratica in Italia? L'assenza della cultura del risultato. E' arrivata l'ora di trasformare gli uffici pubblici in fabbriche. Per semplificare davvero la burocrazia serve la cura dell'organizzazione. Anzi, serve lo studio dell'organizzazione e dei processi di esecuzione. Un po' come fecero Taylor e Ford che ai loro tempi definirono i metodi migliori per rendere efficiente la produzione». Scandisce le parole il professor Sabino Cassese, una vita spesa per la semplificazione fin da quando ne fece una bandiera del governo Ciampi nel 1993.




Professore, la prima domanda non può che essere amara: di semplificazione si parla da vent'anni, ma i risultati?

«Non siamo stati costanti. Semplificare è come governare un fiume: le nuove leggi prevedono complicazioni e quindi bisogna intervenire continuamente per ridurle, altrimenti l'afflusso d'acqua supera gli argini. E c'è di più».



Cosa?

«La disillusione. Gli annunci di semplificazioni non seguiti da fatti percepiti provoca rancore e fatalismo. Tanto che i cinici sostengono che in Italia è meglio non semplificare».



Cosa ribatte ai cinici?

«Che negli ultimi anni ho notato passi avanti. Ora bisogna perseverare».



Come?

«Come fanno gli americani: con il regulatory budget».



E cos'è?

«Trasferiamo il concetto di bilancio alla burocrazia. Prendiamo un comparto e inseriamo su una colonna le complicazioni e sull'altra le semplificazioni. Queste ultime devono essere di più».



Facile a dirsi.

«Se c'è la volontà politica e la giusta cultura “industriale” è tutt'altro che impossibile>.



Ad esempio?

«Basterebbe mettere nero su bianco il tempo richiesto ai cittadini o alle imprese per ottenere tutte le autorizzazioni per un permesso edilizio o per la ristrutturazione di un capannone. Si tirano le somme e si interviene lungo tutta la filiera degli enti (Stato, Regione, Comune etc.), che devono rilasciare i permessi».



Dunque la novità delle prossime semplificazioni sta in un approccio sistemico al problema.

«Per ottenere risultati veri, percepiti, servono quattro elementi: un chiaro impulso politico; una cultura dell'amministrazione meno formale e che tenga conto del tempo complessivo chiesto ai cittadini per l'espletamento delle pratiche; una task force tecnico-burocratica che sappia dove mettere le mani; qualcuno che segua l'attuazione delle decisioni. In Italia quest'ultimo aspetto è troppo sottovalutato».



Professore, passiamo alla semplificazione delle leggi. Che in Italia sono troppe e scritte male. Lei come la vede?

«La ragione principale del fenomeno sta nella nevrosi politica italiana. In 150 anni, ad eccezione della parentesi mussoliniana, abbiamo avuto 127 governi».



Ma Cottarelli, ex regista della spending review, ha parlato di mandarinato delle leggi: sono i capi di gabinetto dei ministri a scrivere leggi che solo loro sono in grado di decriptare.

«Condivido solo al 30%. La restante cattiva qualità delle leggi è fatta da incompetenza, interferenze lobbistiche, bassa cucina parlamentare».



Che fare?

«Il primo passo per avere leggi ben scritte è banale: seguire i manuali. Poi le leggi principali, come accadde per la Costituzione, dovrebbero essere riviste da italianisti».



E poi?

«Poi bisogna moltiplicare le formazione di personale specializzato nella scrittura delle leggi e copiare i francesi che hanno concentrato in pochi codici il 60% delle loro norme».



Da addetto ai lavori, lei come giudica quello che bolle in pentola sul fronte della semplificazione?


«Posso usare un linguaggio formale? Vedo uno sforzo altamente meritorio». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero