La produzione dell'industria italiana, nel 2013 ha perso un ulteriore 5% per arrivare a circa -25% rispetto al 2007. È quanto emerge dal rapporto sulla competitività della...
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L'industria italiana ha pagato dunque un prezzo «enorme» a causa della crisi economica, sia in termini di produzione che di perdita di posti di lavoro. La produzione industriale è di circa il 25% al di sotto del livello pre-crisi, un crollo che ha colpito anche settori, come quello degli elettrodomestici, dell'auto e delle calzature, che sono stati a lungo la spina dorsale dell'industria italiana. Alle difficoltà dell'industria italiana contribuiscono una produttività stagnante e prezzi dell'energia fra i più alti in Europa.
Nonostante il costo della crisi, si sottolinea nel rapporto, la manifattura italiana mantiene una percentuale del valore aggiunto del Pil del 15,5%, ancora al di sopra della media Ue (15,1%). Inoltre il settore manifatturiero è una «fonte essenziale di innovazione e competitività», che contribuisce per il 70% della spesa privata in ricerca e sviluppo e rappresenta quasi l'80% delle esportazioni.
La produzione industriale sta vivendo una ripresa «lenta e irregolare», trainata dalla fiducia delle imprese, migliorata sulla base della crescita degli ordini per le esportazioni. Ma dal 2011 la performance dell'export è stata «l'unica componente ad aver contribuito positivamente alla crescita».
La produttività, si evidenzia nel rapporto dell'esecutivo di Bruxelles, è rimasta «sostanzialmente invariata, ampliando ulteriormente il divario con i principali concorrenti». La crescita lenta della produttività «è in gran parte dovuta all'inefficienza nell'allocazione delle risorse». E se il tasso di investimento in Italia è «paragonabile» a quello di altri Paesi dell'area dell'euro, il livello di efficienza del capitale è «più basso e in calo».
Il rapporto cita anche alcune recenti analisi, secondo cui «una delle cause della modesta crescita della produttività è che le riforme del mercato del lavoro si sono concentrate principalmente sulla flessibilità e hanno trascurato di affrontare le rigidità del meccanismo di determinazione dei salari». Questo sta producendo «effetti perversi: dal 2000 i salari sono aumentati più in settori dove la produttività del lavoro è cresciuta di meno, e, nel breve termine, l'occupazione tende a muoversi verso settori in cui la produttività del lavoro sta aumentando di meno».
Infine a pesare sulla competitività della manifattura italiana sono i prezzi dell'energia elettrica per gli utenti finali, «tra i più alti in Europa», a causa di una «combinazione di pesanti tasse e imposte (le più alte in Europa) e di elevati costi di approvvigionamento (i terzi più elevati in Europa)».
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Il Messaggero