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BRUXELLES - Dopo l’affondo sul petrolio, in Europa aumenta anche la pressione sul gas: con lo stop al rinnovo dei contratti in scadenza nei prossimi mesi. Nei negoziati tra i diplomatici dei Ventisette è ormai definitivamente rotto ogni tabù sulle sanzioni alle forniture energetiche provenienti da Mosca: la scorsa settimana è arrivato lo stop al carbone (ma soltanto a partire da agosto), mentre a Bruxelles si lavora adesso per mettere a punto l’embargo del petrolio, non senza cautele e distinguo fra gli Stati membri, Germania in testa, che potrebbero attenuare di molto la portata del divieto (decidendo ad esempio di colpire solo i derivati del greggio) e ritardarne l’entrata in vigore solo nella seconda metà dell’anno.
LA STRADA
La strada è però tracciata, con una decisione prevista dopo il ballottaggio delle presidenziali francesi, per non fornire un prezioso assist alla campagna anti-Ue di Marine Le Pen che ha messo le preoccupazioni per il caro-vita al centro della sua sfida contro Emmanuel Macron. In parallelo, il cerchio della strategia incrementale adottata dall’Ue per punire il Cremlino dopo l’invasione dell’Ucraina si stringe sempre più attorno al metano russo, l’ultima fonte fossile rimasta al riparo delle restrizioni europee, ma che Mosca brandisce come un’arma. Un radicale e immediato blocco dei flussi in arrivo dalla Russia è un rischio che, secondo gli osservatori, si fa concreto ora che la Commissione europea, al termine di un’approfondita analisi condotta dal suo servizio legale insieme a quello del Consiglio, ha messo in guardia le capitali dall’illegittimità del saldo delle transazioni in rubli voluto da Vladimir Putin.
I tecnici dell’esecutivo Ue hanno condiviso alla vigilia della pausa pasquale con i governi il parere sul decreto presidenziale adottato da Mosca a fine marzo e che, operativo da inizio maggio, impone ai “Paesi ostili” (Stati Ue compresi) il pagamento del gas in rubli attraverso l’uso del cosiddetto “conto K”.
L’AVVERTIMENTO
L’avvertimento agli Stati membri mette però le numerose aziende importatrici del gas russo di fronte a un dilemma: ignorare il ricatto del Cremlino e non seguire lo schema del “conto K”, rischiando di incorrere nel giro di due settimane in un radicale taglio dei volumi di metano ordinato dal Cremlino che sarebbe in grado di costringere al razionamento e alla chiusura di alcuni settori produttivi, innescando una nuova recessione economica nel continente, oppure accettare di pagare e contribuire ad aggirare le restrizioni adottate per colpire al cuore il sistema finanziario russo adottate dall’Occidente. Sono circa 150 i contratti di fornitura a rischio, secondo l’analisi preliminare di Bruxelles riferita dal portale online Politico. Mentre altri Stati membri aspettano di valutare la questione anche alla luce dei contatti con le compagnie interessate.
Nei prossimi mesi scadranno circa 20 miliardi di metri cubi di contratti in Europa su un totale di circa 125 miliardi di metri cubi totali. Scadono in Polonia, Olanda, Germania, Bulgaria, Slovenia e anche Italia. Edison ha già annunciato che non ha intenzione di rinnovare l’accordo per la fornitura di un miliardo di metri cubi che terminerà a ottobre. Il primo Paese a prendere l’iniziativa dopo l’informativa dell’esecutivo Ue e a formalizzare il muro contro muro con Putin è stata l’Olanda. Il governo dei Paesi Bassi ha infatti esortato le aziende olandesi a non accettare la clausola in cui è dettagliata la modalità di pagamento (di fatto) in rubli e ha invitato un centinaio di amministrazioni locali a terminare quanto prima i contratti con Gazprom, promettendo dei sostegni nazionali per far fronte a penali e danni economici.
Il Messaggero