Se il dollaro si rafforza migliora l'export dell'Europa

Se il dollaro si rafforza migliora l'export dell'Europa
BRUXELLES - La decisione della Fed americana di alzare i tassi di interesse per la prima volta dal 2006 dovrebbe contribuire a dare un'ulteriore spinta all'economia della...

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BRUXELLES - La decisione della Fed americana di alzare i tassi di interesse per la prima volta dal 2006 dovrebbe contribuire a dare un'ulteriore spinta all'economia della zona euro, rafforzando gli effetti degli stimoli monetari della Bce di Mario Draghi. Almeno così la pensa gran parte degli analisti: il prevedibile apprezzamento del dollaro sull'euro è destinato a dopare le esportazioni del Vecchio continente sui mercati mondiali, trainando la crescita e dunque l'inflazione. La fine del divieto quarantennale di esportare petrolio dagli Stati Uniti è un altro elemento che dovrebbe giocare a favore dell'Europa, compensando l'aumento dei costi per approvvigionarsi in greggio dovuti al rafforzamento del dollaro. Ma, secondo alcuni analisti, l'aumento dei tassi americani comporta anche dei rischi per la zona euro: tra pericolo di una tempesta monetaria globale, ripercussioni sui mercati emergenti e possibile aumento dei rendimenti dei titoli pubblici europei, la Bce potrebbe essere chiamata a intervenire di nuovo. Negli scorsi giorni il capo-economista dell'Eurotower, Peter Praet, ha cercato di rassicurare preventivamente i mercati annunciando che la Bce «è pronta a far fronte a qualsiasi situazione».



Un'anteprima di ciò che potrebbe accadere dopo l'annuncio della presidente della Fed, Janet Yellen, si è avuta nel 2013 con la decisione di rallentare il Quantitative Easing americano. Il cosiddetto “tapering” - la diminuzione graduale degli acquisti di titoli - provocò un improvviso movimento di capitali dai paesi emergenti e dall'Europa verso gli Stati Uniti, spingendo verso l'alto i rendimenti dei titoli pubblici globali, compreso il debito dei paesi della zona euro. «All'epoca i tassi iniziarono a reagire in modo consistente. Ci fu un impatto non solo sulle condizioni finanziarie mondiali, ma anche nella zona euro. E reagimmo con la nostra politica monetaria», ha ricordato Praet in un'intervista al Financial Times il 13 dicembre. Per rispondere alla Fed, nel luglio 2013 la Bce tagliò il tasso di riferimento allo 0,25%. «I nostri strumenti sono sufficientemente flessibili per fronteggiare tutte queste situazioni», ha garantito Praet. La Bce potrebbe potenziare gli acquisti del suo QE oppure tagliare ancora i tassi sui depositi che sono già in territorio negativo. L'approccio graduale scelto dalla Fed e la determinazione di Draghi di proteggere la zona euro dovrebbero evitare scossoni. Ma alcuni economisti dubitano che un ulteriore stimolo della Bce possa avere effetti significativi sulla crescita europea.

LO SCENARIO

Se oggi le due banche centrali più importanti al mondo sono costrette a imboccare strade divergenti è perché Usa e Europa si trovano in condizioni molto diverse. Grazie alla Fed, l'economia americana cresce a un ritmo soddisfacente e la disoccupazione è scesa al 5%. La ripresa europea, per contro, si sta bloccando malgrado l'euro debole, il calo del petrolio e il QE. In altre parole, le rigidità strutturali dei paesi della zona euro impediscono alle loro economie di beneficiare pienamente degli stimoli della Bce. Su esportazioni e crescita europee inoltre potrebbero pesare le mosse delle banche centrali dei paesi emergenti per proteggersi dal rialzo dei tassi Usa. L'altro rischio di più lungo periodo è che, prima o poi, la Bce debba seguire la strada della Fed e chiudere il rubinetto del QE. In un rapporto pubblicato ieri, la Commissione avverte che una stretta monetaria potrebbe avere conseguenze dure per paesi a alto debito come l'Italia. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero