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Avanti con le auto elettriche e la messa al bando dei motori diesel e benzina dal 2035, ma il Green deal esce con le ossa rotte e la maggioranza Ursula si ritrova a pezzi dopo il passaggio parlamentare di ieri a Strasburgo sul maxi-pacchetto clima.
L'emendamento che prolunga la deroga alle regole dell'Unione Europea
Auto solo green, dal 2035 stop a diesel e benzina
All'ombra di una guerra e con una inflazione galoppante, che tengono in ostaggio le prospettive economiche, l'Eurocamera si è prima spaccata sui tempi della stretta per tagliare le emissioni inquinanti in Europa e poi, con un voto a sorpresa, ha silurato la colonna portante della strategia Fit for 55, con cui l'Unione vuole ridurre del 55% la CO2 entro il 2030 (rispetto ai valori del 1990). A farne le spese è stata la riforma del sistema Ets (Emission Trading Scheme), architrave delle politiche climatiche del blocco: un meccanismo che dal 2005 ha introdotto una sorta di permesso a inquinare che viene acquistato su un mercato dedicato. Insomma, tutto da rifare, con un nuovo esame previsto in autunno.
LE TENSIONI
L'esecutivo Ue ha strappato comunque un premio non da poco, con l'approvazione del divieto di vendita di veicoli diesel e benzina dal 2035, una delle misure-simbolo del Green deal.
Nel testo finale, la plenaria ha invece dato l'ok al prolungamento fino al 2036 della deroga (inizialmente prevista fino al 2030) per i piccoli produttori di auto (da mille a 10mila l'anno) e furgoni (da mille a 22mila): una modifica presentata da un fronte bipartisan di eurodeputati, tra cui gli italiani di ogni schieramento, con l'obiettivo di salvaguardare la produzione delle supercar prodotte nella Motor Valley dell'Emilia Romagna: il riferimento è soprattutto a Ferrari e a Lamborghini.
LA RESA DEI CONTI
È però sull'impianto del Fit for 55 e sul ritmo di riduzione delle emissioni di CO2 che a Strasburgo è andata in scena una resa dei conti. Una battuta d'arresto per il Green deal che ha trascinato con sé tre degli otto testi ieri al voto. Il braccio di ferro che ha contrapposto anche le diverse anime che sostengono il governo Draghi ha riguardato l'eliminazione graduale del sistema delle quote di emissioni gratuite di cui beneficia la grande industria europea: respinti due testi alternativi che prevedevano la fine delle gratuità prima al 2030 e poi al 2032 (quest'ultimo con uno scarto di appena 11 voti), è passata l'opzione più permissiva per le aziende, contenuta in un emendamento di popolari, conservatori e sovranisti, con un periodo di tolleranza fissato al 2034. È stato in questo momento che, insoddisfatti dalla formulazione finale, e convinti che «nessun accordo è meglio di un pessimo accordo», socialdemocratici (ma non tutti, e con defezioni importanti tra gli eletti Pd), verdi e sinistre hanno deciso di votare insieme a conservatori e sovranisti affossando l'intera relazione, seppur per ragioni opposte. Troppo poco ambiziosa secondo gli uni, eccessivamente ideologizzata per gli altri.
A votare a favore, alla fine, sono rimasti solo liberali e popolari. La riforma dell'Ets torna così in commissione Ambiente: già ieri pomeriggio sono ripresi i confronti fra gli eurodeputati alla ricerca di una quadra. «Una situazione inattesa», ha ammesso il presidente della commissione Pascal Canfin, macroniano, certificando il rinvio pure dei voti sul Fondo sociale per il clima e della carbon tax alle frontiere «perché intimamente legati al futuro dell'Ets».
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Il Messaggero