L’obiettivo è tornare in utile nell’arco di tre anni, nel 2017. E per farlo la nuova Alitalia si reinventerà: «Qualità, passione e tecnologia, questo il nostro slogan»...
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Ed eccola la nuova era: si chiama Etihad, la compagnia che ha messo risorse finanziarie fresche acquisendo il 49% di Alitalia e anche nuove idee, nuove persone. La squadra di vertice è praticamente nuova di zecca e gli uomini provenienti da Etihad sono in forze. Il “capo” di Etihad, James Hogan, che in Alitalia si è tenuto la poltrona di vicepresidente, è seduto accanto Montezemolo e Cassano. Sorridente, affabile, ribadisce che vuole una compagnia «sexy».
Ma soprattutto un gruppo di successo. Basta sprechi e scelte sbagliate. «Alitalia è stata gestita finora come una società pubblica. Ora serve un cambiamento radicale del modo di lavorare per abbassare i costi e aumentare la produttività» chiarisce. Gli arabi non hanno alcuna intenzione di buttare i loro soldi. «Non siamo una banca, negli Emirati non esistono sovvenzioni a fondo perduto. il nostro obiettivo è la redditività» precisa. E poi avverte: «Questa è l'ultima possibilità di salvare Alitalia». Detto ciò Hogan assicura: «Siamo investitori a lungo termine, non siamo qui per un mordi e fuggi. Non avremmo mai e poi mai affrontato un investimento del genere, se non fossimo fermamente convinti che il piano predisposto è un piano di successo».
Per tornare all’utile nel 2017 (l’obiettivo è intorno ai 100 milioni di euro), la nuova Alitalia già da subito dovrà lavorare duramente. Quest’anno si concentrerà sulla produttività e l’efficienza dei costi; nel 2016 si continuerà sulla strada del contenimento delle perdite e poi dello sviluppo in modo da raggiungere il pareggio di bilancio. «L’obiettivo deve essere creare valore senza essere più dipendente dalle banche» spiega Montezemolo.
Produttività e efficientamento dei costi non significa però - dice Cassano - puntare a una compagnia più piccola. Anzi. La nuova Alitalia farà molti investimenti per migliorare la qualità del servizio ai passeggeri: «Faremo tutti gli investimenti necessari per dare al cliente un servizio a cinque stelle». Ci saranno nuove rotte e più frequenze. Già da quest’anno saranno inaugurati collegamenti da Roma con San Francisco, con Mexico City, con Santiago del Cile. Da Fiumicino decolleranno aerei della compagnia per Pechino e Seoul e ci saranno più voli collegamenti con New York, Chicago, Rio de Janeiro.
L’alleanza con Etihad riempirà il vuoto di rotte verso l’Asia: Abu Dhabi sarà raggiungibile da Roma, Milano, Catania, Venezia, Bologna. E poi da lì si potrà proseguire verso il Medio Oriente, l’Africa, il subcontinente indiano, il Sud Est asiatico, la Cina e l’Australia. I voli a lungo raggio da Milano aumenteranno da 11 a settimana a 25 entro metà 2018. I voli da Roma passeranno da 87 a 113 voli a settimana. Milano Linate diventerà l’hub prediletto degli uomini di affari che si devono muovere verso il resto dell’Europa. Per fare tutto ciò si stanno valutando importanti novità sulla flotta: 14 Airbus A320 sono stati ceduti a AirBerlin, mentre per i voli a lungo raggio saranno acquisiti nuovi aeromobili.
Man mano che il piano verrà espletato ci saranno ricadute anche sull’occupazione. «Nessuna promessa», però, sul riassorbimento degli ex dipendenti, dice Cassano. Che aggiunge: «Adesso pensiamo agli undicimila lavoratori di Alitalia e poi penseremo ad allargare la famiglia». «È una avventura molto impegnativa, dobbiamo avere i piedi per terra» concorda il presidente Montezemolo. Ancora più chiaro Hogan: «Dobbiamo dare alla compagnia la giusta dimensione. Uno dei problemi della vecchia Alitalia erano i troppi dipendenti. Il successo del business porterà automaticamente alla creazione di nuove opportunità, nuovi posti di lavoro. Intanto - assicura - tutto quello che potremo fare per aiutare gli ex dipendenti a trovare lavoro, lo faremo. Ma la realtà dei fatti è che la compagnia deve avere successo perché possano essere creati nuovi posti di lavoro». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero