Agroalimentare: allarme "hard brexit" per l'ortofrutta italiano

Agroalimentare: allarme "hard brexit" per l'ortofrutta italiano
(Teleborsa) - È allarme "hard brexit" per gli operatori italiani dell'ortofrutta, impensieriti dai possibili effetti che potrebbe determinare il divorzio senza accordo tra...

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(Teleborsa) - È allarme "hard brexit" per gli operatori italiani dell'ortofrutta, impensieriti dai possibili effetti che potrebbe determinare il divorzio senza accordo tra l'Inghilterra e l'Unione europea. I timori giungono direttamente dal Fruit Logistica di Berlino, dove il Presidente di Coldiretti Ettore Prandini ha incontrato gli imprenditori italiani della filiera, esponendo loro i rischi che comporterebbe l'acquisizione dello status di Paese Terzo da parte di Londra.


Con un giro d'affari per 668 milioni di euro nel 2018, l'ortrofrutta fresca e trasformata è il secondo prodotto italiano più esportato Oltremanica, ora minacciato, come ha spiegato la Coldiretti, dalla possibile entrata in vigore di dazi o dai ritardi doganali. Il pericolo, ha sottolineato ancora la Coldiretti, è che nel Regno Unito, dove vengono prodotti solo l'11% della frutta fresca e il 42% della verdura consumate annualmente, le merci italiane possano essere rimpiazzate da prodotti provenienti da altri mercati, a partire da quelli africani. Il Sud Africa, per esempio, è già il secondo esportatore di frutta fresca nel Regno Unito dopo la Spagna, ma anche il Marocco e l'Egitto stanno intensificando le esportazioni di ortofrutta come pomodori ed arance, che, peraltro, non rispettano gli stessi parametri che valgono per i prodotti italiani.

Senza accordo, rincara la dose Coldiretti, verrebbe meno anche la tutela sui prodotti a denominazione di origine DOP e IGP, 112 per il Belpaese.


Una situazione che, stando a quanto riferito dalla Coldiretti, rischia di aggravarsi in seguito al crollo del 12% nelle esportazioni verso l'estero già registrato lo scorso anno. Secondo il Presidente Prandini, dunque, per incentivare il commercio con l'estero l'Italia dovrebbe "Superare l'attuale frammentazione e dispersione delle risorse per la promozione del vero Made in Italy all'estero, puntando a un'Agenzia unica che accompagni le imprese in giro nel mondo sul modello della Sopexa e ad investire sulle Ambasciate, introducendo nella valutazione principi legati al numero dei contratti commerciali". Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero