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Il 58,8% della pubblica amministrazione è formato da donne, l’equivalente di 3,2 milioni di dipendenti pubblici. Di questi però solo il 33,8% riveste un ruolo apicale. Esistono ancora degli ostacoli per le donne nel mondo del lavoro? Secondo uno studio condotto da Badenock+Clark per il 38% delle intervistate il problema riguarda il fatto che gli uomini siano privilegiati nell’ottenere posizioni ai vertici aziendali, anche a parità di competenze. Come mai? Prova a rispondere Tiziana Cignarelli, segretaria generale della Federazione dei professionisti pubblici (Flepar): «Due sono le categorie in Italia che non si trovano nelle posizioni di potere, i giovani e le donne. Allora proviamo a dare una scossa, proviamo a fare in modo che il sistema venga cambiato dall'alto. E non è un sistema solo sociale, organizzativo o di relazioni, ma proprio un sistema economico».
È evidente questo divario?
«Non è un discorso identitario e non vuole essere un discorso uomini contro donne. Vuole essere proprio un discorso di leve di cambiamento. Crediamo fermamente nella digitalizzazione, nel lavoro agile, nelle competenze professionali e nella pubblica amministrazione. Crediamo anche che una maggiore presenza delle donne nei ruoli apicali possa portare a un miglioramento. Sicuramente a un cambiamento».
Da cosa lo deduce?
«Lo dicono degli studi internazionali: se l'Italia entro il 2030 raggiungesse la media europea di presenza e partecipazione delle donne al mondo del lavoro potrebbe conseguire un aumento di pil di un punto all'anno.
Anche l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile si occupa della questione.
«L'obiettivo numero 5 dell'agenda 2030 ci impone di occuparci di parità di genere e di posizione nei ruoli decisionali delle donne. La fonte è il MEF, la Ragioneria Generale dello Stato registra una scarsa partecipazione delle donne nei ruoli decisionali pubblici, intendendo il sistema pubblico».
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Dipende dalla professione?
«Ritengo che tutte le professioni stiano andando verso una maggiore presenza delle donne, però a questo non corrisponde un adeguato potere decisionale. Che la presenza delle donne comporti un cambiamento, un progresso anche di carattere economico lo dice il Fondo Monetario Internazionale. La crescita è collegata ai cambiamenti di governance e alle operazioni di finanziamento, sono completi se riguardano anche il recupero del divario di genere. Questo significa che è un fattore economico. Ci tengo a sottolinearlo perché bisogna far comprendere agli uomini, o comunque agli centri di potere, che conviene investire anche nelle donne».
A suo avviso da cosa dipende?
«Perché ci sono delle resistenze. Ecco perché su questo argomento terremo un evento il 4 aprile a Roma a Palazzo Merulana, dove faremo delle proposte, anche una proposta di legge. Se è solo il 33,8% delle donne che aspira a delle posizioni apicali vuol dire che in realtà non è soltanto un discorso di difficoltà di conciliazione di lavoro e vita, c'è anche questo, nessuno lo sottovaluta, ma c'è anche la difficoltà di essere presa in considerazione. Come se si fosse un circuito prevalentemente maschile che è difficile far così scalfire con un elemento di novità».
Qualcosa sta cambiando.
«All'inizio si diceva “voi siete una minoranza” e andavano tutelate le minoranze. Adesso la donna è una maggioranza, quindi è una questione di rappresentazione e partecipazione nella reale composizione del mondo del lavoro, del mondo sociale e del mondo economico».
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Il Messaggero