Per chi ha trascorso la maggior parte della sua vita in corsia, in tempi di emergenza, stare lontano dai suoi diventa difficile se non impossibile. E dare una mano si trasforma in...
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Nessuna paura, preoccupazione sì, però. «Ma questi sono gli inconvenienti del nostro mestiere. Non potevo starmene con le mani in mano - racconta dopo l'ennesima riunione mattutina per il passaggio delle consegne dei 25 pazienti ricoverati nell'unità Covid dell'ospedale - e quindi ho scelto di venire a dare una mano. Sono pur sempre un dottore e non potevo non rispondere a questa chiamata alle armi». Così ha scelto Civitavecchia e il San Paolo, l'ultimo ospedale dove ha prestato servizio dirigendo il reparto di Oncologia, dove è rimasto in contatto con i colleghi per consulenze e altro. «Durante i miei anni di servizio - continua - mi sono occupato di altro, come tutti sanno. Non ho tanta esperienza nel settore delle malattie infettive, ma ho trovato medici preparati e con tanta voglia di lavorare. Ogni giorno imparo qualcosa di nuovo sulle pratiche e le tecniche di rianimazione o ventilazione. Ho poi un giovane nipote che lavora allo Spallanzani a cui mi rivolgo per consultarmi». Poi una riflessione sul momento. «Mai - afferma - avrei pensato o immaginato di dovermi confrontare con un nemico del genere. Insomma, di vivere questa esperienza come medico e come persona».
Per Zampa, abituato a combattere contro un nemico durissimo, il cancro, e vedere pazienti spesso non farcela, oggi la sfida è proprio il rapporto con i malati. «Un malato oncologico spesso ha una famiglia intera a sostenerlo nella battaglia e questo è fondamentale - commenta -. Invece chi si contrae il Covid e viene ricoverato e non ha altro rapporto se non con i sanitari che, nascosti sotto tutte le protezioni che il caso richiede, diventano irriconoscibili. Sapere che si spengono soli e senza il calore dei loro cari è un peso con cui noi medici e infermieri purtroppo ci confrontiamo ogni giorno».
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Il Messaggero