Stefania Auci, scrittrice del momento con "I leoni di Sicilia": «La saga dei Florio rapirà anche voi»

Stefania Auci
«Noi siamo il frutto delle storie che raccogliamo nel corso della nostra vita: senza, non esisterebbe il nostro patrimonio culturale, non ci sarebbe nulla. Io, per esempio,...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
159,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
79,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA
ANNUALE
79,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
159,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 6 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
«Noi siamo il frutto delle storie che raccogliamo nel corso della nostra vita: senza, non esisterebbe il nostro patrimonio culturale, non ci sarebbe nulla. Io, per esempio, sono il risultato delle storie che mi raccontava mia nonna, i cunti dei paladini...» Stefania Auci è la scrittrice del momento. Con I leoni di Sicilia, primo volume di un ciclo di due libri dedicati alla saga della famiglia di imprenditori Florio, ha sbancato ogni record di vendita grazie al passaparola, incalzando l'ultimo Camilleri. Insegnante di sostegno in un quartiere difficile di Palermo, risponde al telefono in macchina, tra un'incombenza e un'altra, spesso interrotta dall'allegro vociare dei figli. Auci ha 44 anni, ma scrive da dieci. «Vengo dal mondo dell'editoria di genere - racconta - facevo romance quando HarperCollins si chiamava ancora Harlequin, ma i romanzi sentimentali mi stavano stretti; così ho cominciato con la narrativa storica, prima con Florence e ora con I leoni di Sicilia...»


Il suo libro è un romanzo di altri tempi, come non se ne leggono più. Cosa l'ha ispirata?
«I grandi autori dell'Ottocento siciliano, I Viceré di Federico De Roberto, Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e, per quanto riguarda lo stile, Verga: un punto di partenza fondamentale per capire come entrare nella testa dei personaggi».

Balzac diceva che, per conoscere la vita, bisogna sporcarsi le mani.
«Sono assolutamente d'accordo. Dico di più: Ivano Porpora, autore Marsilio, mi diceva che bisogna avere il coraggio di scrivere a piedi nudi, per sentire meglio le sensazioni».

E lei lo fa?
«Devo ammettere che io, anche in pieno inverno, scrivo scalza».

Perché ha deciso di raccontare proprio questa storia?
Ci sono dei momenti in cui mi sono detta: chi te l'ha fatto fare? La mole di materiale è talmente abbondante che ti fermi e dici: no, è una follia. Fu un amico a suggerirmi di scrivere una saga familiare; ma io ero dubbiosa, che m... dici? gli ho risposto. Poi ho cominciato a guardarmi intorno e mi sono reso conto di quanto fosse affascinante la storia dell'ascesa dei Florio. Vincenzo era un vero capitano d'industria, con una visione del mondo e dell'economia molto moderna. Più leggevo di lui e più lo amavo».

Quanto ci ha messo a scrivere I leoni di Sicilia?
«Tre anni, tra ricerca e scrittura. La prima parte sentivo che non girava bene e allora, con un atto di coraggio - perché si trattava di settanta pagine - l'ho riscritta tutta».

Come ha fatto a conciliare il lavoro con la scrittura?
«Mi sveglio alle 5 meno un quarto; lavoro prestissimo la mattina e poi mollo il computer, cerco di mettere un po' di ordine e vado a scuola: sono un'insegnante full time in un istituto superiore, un alberghiero, in un quartiere non semplicissimo, nella zona dei cantieri navali. A casa, a volte devo aspettare di usare il pc perché uno dei miei due figli sta guardando una serie su Netflix».

Alunni difficili?
«Quella che seguo io personalmente è una ragazza dolcissima e una forte lettrice. Ma la situazione non è facile. I ragazzi non hanno libri perché non possono permetterseli...»

In un'era di autofiction e romanzi "ombelicali", lei mostra una grande empatia. È questa la chiave del successo?
«Un buon insegnante deve essere capace di calarsi nei panni dei suoi studenti, anche di quelli che sbagliano. Il mio lavoro, in questo senso, è preziosissimo».

Lei scrive: Esistono amori che non portano questo nome, ma che sono altrettanto degni di essere vissuti, anche se dolorosi.
«Una signora durante una presentazione mi ha detto: la cosa strana è che nel suo romanzo ci sono un sacco di momenti di amore e di passionalità, ma non usa mai la parola amore».

Qui lo fa. Ma, in gernerale, mostra le cose senza nominarle troppo.
«Dev'essere sempre la storia a parlare, io sono soltanto una penna al servizio dei lettori. L'amore non va detto, va vissuto e dimostrato con i fatti. Le storie a volte completano quei buchi che noi non pensiamo di avere nell'animo».

Scrivere è stato terapeutico?

«Potrei fare la scrittrice che se la tira, abbassare il tono di voce, renderlo leggermente sensuale e dire: scrivere mi aiuta a superare i miei demoni, ma siccome i demoni non li ho e mi basta il casino della mia vita, io scrivo fondamentalmente perché è una cosa che mi piace, mi diverte, e mi fa anche arrabbiare mostruosamente: quando scrivo una scena che non funziona e la vado a cancellare, sacramento peggio di un camionista». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero