Ci risiamo, questa volta scende in campo il Daily Telegraph con l’inglese Paul Hayward, giusto il capo dello Sport e scrittore-fantasma dell’autobiografia di Alex Ferguson,...
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Uffa, sempre la solita solfa.
Ma, un momento, c’è qualcosa che non torna: i giocatori nella foto allegata al durissimo pezzo non sono in azzurro, ma in blue navy. E non hanno il tricolore sul cuore, ma il cardo. E allora il Telegraph non ce l’ha con l’Italia, ma con la Scozia. Possibile prendersela, tuttavia, con gli highlander, protagonisti del primo match internazionale di rugby nel 1871 a Edimburgo? Possibile scagliarsi contro i pionieri cofondatori dell’allora Quattro Nazioni nel 1883? Che sia colpa, questo attacco a palle incatenate, anche del referendum per l’indipendenza scozzese che incombe sullo scenario britannico? Il columnist argomenta così: le prime due prestazioni scozzesi di questa stagione (28-6 a Dublino e soprattutto 0-20 contro l’Inghilterra a Murrayfield) sono state penose esattamente come il prato dello storico stadio di Edimburgo. Quel tappeto verde smeraldo spazzato dai venti gelidi del mare del Nord un tempo era un vanto a livello mondiale grazie alle prime serpentine antighiaccio sotto l’erba cantate anche da Paolo Rosi: adesso è ridotto a una fangosa poltiglia indegna, martoriato pure da una muffa resistente a tutto, anche a un tragicomico spray all’aglio.
La debolezza tecnica – continua l'articolo - della Scozia, affidata a un ct ad interim australiano, è imbarazzante: per dirne una, nel match contro l’Inghilterra ha passato solo il 3% del tempo nell’area dei 22 (l’area di difesa) inglese. E nemmeno una meta in due partite. Poi il dato storico: la Scozia non ha mai vinto il Sei Nazioni (ma si è aggiudicata l’ultima edizione a 5 nel 1999, ndr) ed è arrivata 3 volte ultima vincendo solo 20 partite sulle 72 giocate dal 2000. E qui salta fuori il paragone con l’Italia: ecco, ti pareva, adesso arriva la mazzata anche per noi che non solo non abbiamo mai conquistato il Torneo, ma che siamo arrivati ultimi in 9 edizioni su 14 e che su 72 match ne abbiamo vinti solo 11 e pareggiato un altro.
Macché, siamo giustificati – scrive Hayward – noi non abbiamo, come la Scozia, oltre un secolo e mezzo di tradizione ovale, non abbiamo l’obbligo di tenere testa agli inglesi come è accaduto tante volte in passato soprattutto nella fortezza di Murrayfield, non abbiamo, sempre noi italici, affidato tutto l’orgoglio patriottico allo show prepartita in cui tra alte fiammate e bracieri si esibiscono i Red Hot Chilli Pipers (Pipers significa cornamuse). E qui l'ironia è un po' a buon mercato.
Ergo, o la Scozia si dà una regolata, oppure è meglio che lasci lo spazio a qualcun altro. Urca, che botta. L’articolo anti-scozzesi ha scatenato un putiferio in cui il commento più gentile per Hayward è di tornare a occuparsi di calcio. Inoltre il Telegraph il giorno dopo ha schierato lo storico rugby columnist Mick Cleary che sostiene che la Scozia non deve essere per nulla cacciata, ma aiutata a risorgere e che, soprattutto (apriamo bene le orecchie) che lo spirito del Sei Nazioni e dei suoi appassionati è ben più forte e importante dei risultati di questa o quella squadra: il Sei Nazioni è un mondo perfetto che non va toccato.
Adesso tutto a posto, quindi, al di là della Manica. Sì, forse, ma al di qua? Ecco, l’articolo di Hayward aumenta inevitabilmente, e mica di poco, la pressione sugli azzurri che il 22 febbraio affronteranno all'Olimpico proprio la Scozia nel match-cardine, per noi e per loro, del Torneo. Che vogliamo fare ora che qualcuno non ci considera più gli ultimi della classe? Parisse, pensaci tu.
twitter: @paoloriccibitti
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Il Messaggero