Rugby Side
di Paolo Ricci Bitti

«Sei Nazioni, una è di troppo e va cacciata»

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Sabato 15 Febbraio 2014, 14:06
Ci risiamo, questa volta scende in campo il Daily Telegraph con l’inglese Paul Hayward, giusto il capo dello Sport e scrittore-fantasma dell’autobiografia di Alex Ferguson, l’ex allenatore del Manchester: come ogni volta che l’Italia infila due sconfitte nei primi due turni del Sei Nazioni (ed è accaduto in 12 edizioni su 14) salta fuori il solito anatema-sermone: ”Così non si può andare avanti, serve più competitività, il comitato organizzatore deve fare qualcosa, va adottato il sin qui sempre rifiutato sistema della retrocessione per fare posto ai paesi europei emergenti...”
Uffa, sempre la solita solfa.

Ma, un momento, c’è qualcosa che non torna: i giocatori nella foto allegata al durissimo pezzo non sono in azzurro, ma in blue navy. E non hanno il tricolore sul cuore, ma il cardo. E allora il Telegraph non ce l’ha con l’Italia, ma con la Scozia. Possibile prendersela, tuttavia, con gli highlander, protagonisti del primo match internazionale di rugby nel 1871 a Edimburgo? Possibile scagliarsi contro i pionieri cofondatori dell’allora Quattro Nazioni nel 1883? Che sia colpa, questo attacco a palle incatenate, anche del referendum per l’indipendenza scozzese che incombe sullo scenario britannico? Il columnist argomenta così: le prime due prestazioni scozzesi di questa stagione (28-6 a Dublino e soprattutto 0-20 contro l’Inghilterra a Murrayfield) sono state penose esattamente come il prato dello storico stadio di Edimburgo. Quel tappeto verde smeraldo spazzato dai venti gelidi del mare del Nord un tempo era un vanto a livello mondiale grazie alle prime serpentine antighiaccio sotto l’erba cantate anche da Paolo Rosi: adesso è ridotto a una fangosa poltiglia indegna, martoriato pure da una muffa resistente a tutto, anche a un tragicomico spray all’aglio.

La debolezza tecnica – continua l'articolo - della Scozia, affidata a un ct ad interim australiano, è imbarazzante: per dirne una, nel match contro l’Inghilterra ha passato solo il 3% del tempo nell’area dei 22 (l’area di difesa) inglese. E nemmeno una meta in due partite. Poi il dato storico: la Scozia non ha mai vinto il Sei Nazioni (ma si è aggiudicata l’ultima edizione a 5 nel 1999, ndr) ed è arrivata 3 volte ultima vincendo solo 20 partite sulle 72 giocate dal 2000. E qui salta fuori il paragone con l’Italia: ecco, ti pareva, adesso arriva la mazzata anche per noi che non solo non abbiamo mai conquistato il Torneo, ma che siamo arrivati ultimi in 9 edizioni su 14 e che su 72 match ne abbiamo vinti solo 11 e pareggiato un altro.

Macché, siamo giustificati – scrive Hayward – noi non abbiamo, come la Scozia, oltre un secolo e mezzo di tradizione ovale, non abbiamo l’obbligo di tenere testa agli inglesi come è accaduto tante volte in passato soprattutto nella fortezza di Murrayfield, non abbiamo, sempre noi italici, affidato tutto l’orgoglio patriottico allo show prepartita in cui tra alte fiammate e bracieri si esibiscono i Red Hot Chilli Pipers (Pipers significa cornamuse). E qui l'ironia è un po' a buon mercato.

Ergo, o la Scozia si dà una regolata, oppure è meglio che lasci lo spazio a qualcun altro. Urca, che botta. L’articolo anti-scozzesi ha scatenato un putiferio in cui il commento più gentile per Hayward è di tornare a occuparsi di calcio. Inoltre il Telegraph il giorno dopo ha schierato lo storico rugby columnist Mick Cleary che sostiene che la Scozia non deve essere per nulla cacciata, ma aiutata a risorgere e che, soprattutto (apriamo bene le orecchie) che lo spirito del Sei Nazioni e dei suoi appassionati è ben più forte e importante dei risultati di questa o quella squadra: il Sei Nazioni è un mondo perfetto che non va toccato.

Adesso tutto a posto, quindi, al di là della Manica. Sì, forse, ma al di qua? Ecco, l’articolo di Hayward aumenta inevitabilmente, e mica di poco, la pressione sugli azzurri che il 22 febbraio affronteranno all'Olimpico proprio la Scozia nel match-cardine, per noi e per loro, del Torneo. Che vogliamo fare ora che qualcuno non ci considera più gli ultimi della classe? Parisse, pensaci tu.

twitter: @paoloriccibitti
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