Scuola: sì, il dibattito sì

Scuola: sì, il dibattito sì
La riforma della scuola è stata approvata qualche giorno fa alla Camera e ora dovrà completare il suo percorso parlamentare al Senato, mentre la protesta degli insegnanti...

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La riforma della scuola è stata approvata qualche giorno fa alla Camera e ora dovrà completare il suo percorso parlamentare al Senato, mentre la protesta degli insegnanti potrebbe lambire la delicata fase degli scrutini, tra qualche giorno. Ma prima che la vicenda si concluda si può già dire che è stata una grande occasione persa per un serio dibattito sulla scuola italiana. A parole tutti ripetono che è l'istituzione più importante, quella da cui dipende il futuro del Paese e così via. Nei fatti la forte contrapposizione tra fautori e oppositori della riforma ha prodotto argomentazioni per lo più polemiche e povere di contenuti, nonostante a suo tempo il governo avesse presentato un documento ampio - prima ancora del disegno di legge - proprio con l'intenzione dichiarata di alimentare la discussione.


Può darsi che in parte questo esito dipenda dal tipo di intervento, che ha natura per lo più organizzativa, senza ridisegnare la struttura di fondo del sistema di istruzione. Magari era troppo attendersi  il livello di coinvolgimento che accompagnò la nascita della scuola media unica negli anni Sessanta o i decreti delegati del decennio successivo. Però stavolta il confronto è andato avanti per lo più a base di slogan, con momenti anche caricaturali. Non si sono sforzati particolarmente coloro che contestano il provvedimento, per lo più appiattiti su formule logore e buone per tutte le occasioni. Anche il governo però ci ha messo del suo, guidato per lo più da preoccupazioni politico-elettorali. La storia raccontata dal premier della maestra del paese che una volta sì che era rispettata, come il farmacista e il maresciallo dei carabinieri, forse può risultare evocativa, ma non va molto più in là. Si può sperare che il dibattito salga di tono in extremis, negli ultimi giorni? Si può sperare, ma è difficile crederlo.
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Il Messaggero