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Fight like a mother, combatti come una madre. L’hashtag se l’è creato da sola, quando è cominciato il suo braccio di ferro con il Cio. E ora che il Tas le ha dato ragione, ora che la battaglia è stata vinta, mamma Mandy Bujold può finalmente rilassare i muscoli facciali che le foto social da campionessa di pugilato richiedono – bisogna pur sempre mettere soggezione alle proprie avversarie – e lasciar andare qualche bel sorriso, di quelli che campeggiano sempre negli scatti insieme alla sua piccola Kate.
Che tra luglio e agosto dovrà fare a meno per qualche giorno della sua mamma, impegnata sul ring olimpico di Tokyo per centrare quella medaglia dei pesi mosca che le era sfuggita a Rio, cinque anni fa, per colpa di una gastroenterite che la mandò ko poco prima del suo quarto di finale. Mandy, canadese di Kitchener, Ontario, undici titoli nazionali nel curriculum e due medaglie d’oro ai Giochi Panamericani, ha vinto quello che ha descritto come «l’incontro più difficile della carriera». Dove, per la verità, al pari della sua tenacia, è stato determinante il lavoro di una squadra di avvocati e l’elasticità del Tas di Losanna che ha accolto il ricorso contro i criteri di selezione decisi dal Comitato olimpico internazionale e le ha dato il via libera per volare in Giappone.
Le tappe della vicenda
Dove, a 33 anni, affronterà gli ultimi incontri della carriera prima di appendere una volta per tutte i guantoni al chiodo.
IL RACCONTO
«In ballo non c’era il mio pass per Tokyo, ma la difesa di un diritto delle donne», ci racconta all’indomani della vittoria legale. E in effetti la sua causa, specie sui social, diventa abbastanza virale. La sposano anche campioni e campionesse del passato e non solo della boxe, da Lennox Lewis a Billie Jean King. «La gravidanza non è un infortunio e non può essere trattata come tale», tuona l’icona della battaglia dei sessi del tennis. E questa è in sostanza la posizione sancita dal Tas, che accogliendo il ricorso della Bujold ha dato il via libera alla sua partecipazione ai Giochi. Un passaggio epocale. «Questa decisione è solo l’inizio dell’importante cambiamento che deve avvenire nello sport - ci racconta ancora Mandy - È un messaggio importante anche per tutte le donne al di fuori del nostro mondo. Stiamo lottando per la parità di genere ed è il momento di trovare delle soluzioni che aiutino le donne ad affrontare un passaggio così importante della propria vita». Le raccontiamo che l’Italia, al di là del lieto fine, ha seguito per mesi il caso di Lara Lugli, la pallavolista citata per danni dal suo club dopo essere rimasta incinta. «È difficile credere che accadano ancora queste cose, eppure non è la prima storia di questo tipo che sento». Ma Mandy è una che lotta per natura. E che sa sognare. Altrimenti, alla piccola Kate, non avrebbe dato Olympia come secondo nome.
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Il Messaggero