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ROMA Alla fine deciderà Mario Draghi e tutti dovranno accettare, perché la vicenda dei sottosegretari non si risolve se si lascia la riffa in mano ai partiti in preda a contorsioni interne.
Non aver digerito la scelta dei ministri - operata da Draghi in sintonia con il Quirinale - è uno dei problemi che ora sta creando forti contraccolpi.
Il Pd è alle prese con le quote rose e un gruppo di “maschietti” che vorrebbe restare. Dentro Forza Italia la pattuglia degli ex sovranisti cerca di recuperare rispetto al format ministeriale, ma i pretendenti sono tanti. Nella Lega stavolta Salvini prova a tenere fermi i suoi nomi, anche se sul sottosegretario al Viminale ha dovuto cambiare cavallo. Ma è, e oserei dire ovviamente, nel M5S che il caos raggiunge stratosferiche vette. Il reggente Vito Crimi regge sempre meno il suo ruolo. Per tranquillizzare i suoi ha dovuto cancellare il suo nome da sotto il ministero delle Giustizia, ma ciò non è bastato a frenare la contesa interna. Senza contare che i grillini non accettano il criterio di spartizione rivisto dopo la fuga di trenta parlamentari e che costa al Movimento un paio di poltrone in meno.
C’è poi il problema dei tecnici che Draghi vorrebbe inserire, ma che fatica a piazzare in quota dei partiti che non intendono mollare neppure uno strapuntino. Inoltre c’è da decidere chi fra i sottosegretari avrà poi la delega da viceministro. E anche in questo caso l’equilibrio non è semplice.
Il tutto svela le difficoltà che assediano i partiti e i rispettivi leader rispetto al nuovo corso e, forse, al nuovo equilibrio politico che seppur lentamente va emergendo.
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