Chi lavora peggio vive meno. Non potrebbe avere più pensione?

Chi lavora peggio vive meno. Non potrebbe avere più pensione?
L'Italia il primo paese europeo per longevità: questo fatto è ben noto a coloro che negli ultimi anni hanno elaborato le diverse riforme delle pensioni che si sono...

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L'Italia il primo paese europeo per longevità: questo fatto è ben noto a coloro che negli ultimi anni hanno elaborato le diverse riforme delle pensioni che si sono succedute. Una vita media più lunga aumenta la durata dell'assegno previdenziale e di conseguenza incrementa la spesa complessiva dello Stato. Per cui sia il meccanismo di calcolo della pensione, sia il momento nel quale vi si puo accedere, sono ormai legati agli andamenti della speranza di vita: più questa aumenta più i requisiti di età e contribuzione crescono, mentre l'importo si riduce essendo "spalmato" su un periodo più lungo (almeno nel contributivo).


Ma se la prospettiva di vivere di più è certamente benvenuta, l'evoluzione demografica non è stata uguale per tutti. Ad esempio è noto che alla nascita le donne possono contare in media su circa 5 anni in più degli uomini (anche se il divario si sta riducendo): per cui se ipoteticamente coefficienti e requisiti per la pensione fossero determinati in base al sesso invece che sulla media generale dovrebbero lasciare il lavoro più tardi e con assegni relativamente più bassi: cosa che giustamente non avviene.


Un interessante studio del Dipartimento del Tesoro prova ad andare un po' più a fondo esplorando le cause demografiche, sociali e occupazionali che possono far variare il rischio di mortalità. Le conclusioni, sostenute da dati e ben argomentate, risultano comunque non sorprendenti: viene spiegato che "una carriera stabile, caratterizzata da lavori non logoranti e da altre forme di protezione e sicurezza sul lavoro, aumenta la probabilità di vivere più a lungo".  Il che, nell'ipotesi del tutto teorica di applicazione selettiva del criterio dell'aspettativa di vita, riporterebbe un po' di equità: coloro che al contrario hanno avuto un'attività lavorativa irregolare e precaria maturano di solito pensioni molto meno consistenti e dunque potrebbero beneficiare almeno di regole più generose rispetto ai fortunati con posto fisso e garantito.
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Il Messaggero