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L’AQUIL M. fa il barista e dice: «Giusto chiudere, anche l’asporto non va bene. I bar sono stati luoghi di contagio fortissimo, qui in città». M. fa il barista ma il locale non è il suo: «Cambia poco, io devo lavorare e se il mio datore non lavora io come vivo? Però capisco una cosa, capisco che un conto è cercare un modo per non andare in rovina e un conto è doversi salvare la pelle. Io posso anche non avere paura del Covid ma di sicuro adesso temo per tutte le altre malattie, quelle che sono sempre esistite e che negli ultimi decenni la medicina ha imparato a fronteggiare. Se mancano i posti in ospedale, se i medici di base non rispondono al telefono perché oberati, se le ambulanze partono in ritardo, se le visite non si fanno o si rimandano, come si fa? Non ci rendiamo conto che stiamo facendo un salto indietro di duecento anni?».
M. fa il barista in un locale non suo e dice: «Prima che l’Abruzzo diventasse zona arancione le cose funzionavano così. Fuori c’era esposto un cartello che diceva che potevano entrare un tot di persone. A terra c’erano dei segnali per indicare le distanze. Fuori c’era il liquido per disinfettare le mani e io e il mio collega non ci siamo mai tolti la mascherina. Perfetto, no? Che senso ha, hanno detto molti colleghi baristi in tutta Italia e non solo qui all’Aquila, chiudere una catena di montaggio perfetta come questa?».
M.
M. fa il barista, ha uno stipendio buono, e dice: «Io il mio lavoro lo amo, però sono deluso. Allora, è vero che ci sono i costi e che adesso non si guadagna come nei tempi normali, è vero. Però è vera anche una cosa e mi dispiace dirla ma devo: quanti caffè e colazioni abbiamo servito in questi anni senza battere scontrini? Infiniti. Lo Stato lo abbiamo fregato tantissimo e adesso vogliamo che si metta subito sull’attenti e che ci riverisca e che faccia sparire il virus: siamo ridicoli. C’è la crisi, ci saranno brutti momenti, ma non siamo noi quelli che moriranno di fame. Lo sappiamo che alla fine gli aiuti ci saranno, magari tardi, ma che ci manca da mangiare? Magari non ci compriamo subito l’iPhone nuovo o pagheremo l’affitto o la bolletta in ritardo ma chi ci sfratterà o staccherà la corrente? Nessuno».
M. fa anche l’osservatore: «Da quando c’è questo virus pare che la gente abbia riscoperto cose che prime non si vedevano più: la pacca sulla spalla, pure gli abbracci e i baci. Lo vedevo anche durante gli aperitivi, ognuno pensa che il divertimento sia un diritto. E al bar non ci vengono i ragazzetti, nei bar ci vengono quelli dai venticinque anni in su. Non sappiamo comportarci, l’unica è chiudere».
Tiziana Pasetti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il Messaggero