Erano previsti cavalli e carrozza, banda musicale e petali di fiori: un funerale, insomma, secondo la tradizione Rom, che fosse adeguato all’addio a un capo famiglia:...
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I motivi, ha spiegato il questore, sono stati di ordine pubblico: «Gli atti d’ufficio da cui si evince l’appartenenza del signor Di Rocco Arcangelo ad un gruppo parentale resosi nel tempo responsabile di reati contro il patrimonio e la persona nel territorio peligno – scrive il questore – il trasporto della salma in forma pubblica e solenne potrebbe ingenerare nella cittadinanza forme di tensione, preoccupazione e dissenso, con possibili turbative dell’ordine pubblico e pregiudizio per la sicurezza pubblica». Non solo: «Non può escludersi – aggiunge il questore – che durante il trasporto della salma possano avere luogo fenomeni di spettacolarizzazione dell’evento o forme di adesione indotta al lutto, ad opera di componenti del gruppo parentale di appartenenza del deceduto, con conseguenti effetti negativi sulla comunità locale e sull’ordine pubblico».
Un provvedimento che ha suscitato le proteste dei familiari del defunto, secondo cui l’imposizione del questore ha leso un loro diritto e impedito di praticare un rito funebre della loro tradizione. Non è d’altronde la prima volta nella provincia che il questore adotta un provvedimento così restrittivo: qualche giorno fa era toccato infatti ad una famiglia, sempre di etnia Rom, residente ad Avezzano. Una linea che ha fatto molto discutere, anche al di fuori della comunità Rom di Sulmona dove, d’altronde, le famiglie “nomadi” sono in realtà stanziali e integrate da anni. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero