Marijuana come cura, il musicista rischia di nuovo il carcere

Marijuana come cura, il musicista rischia di nuovo il carcere
Entro domani dovrà trovare una nuova sistemazione per poter proseguire la detenzione domiciliare poiché è in scadenza l’ospitalità presso la...

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Entro domani dovrà trovare una nuova sistemazione per poter proseguire la detenzione domiciliare poiché è in scadenza l’ospitalità presso la struttura di Crevalcore, ottenuta grazie all’interessamento del senatore Luigi Manconi, nella quale si trova dal giugno dell’anno scorso. In caso contrario Fabrizio Pellegrini (foto) dovrà tornare in carcere e scontare lì la parte residua della condanna a due anni e 2 mesi per coltivazione di cannabis, ovvero la somma di due condanne definitive emesse dal Tribunale di Chieti per lo stesso reato.


«Avrebbe bisogno di un luogo per proseguire l’espiazione della pena che gli consenta un’attività socialmente utile, l’alternativa è una comunità che lo ospiti in Abruzzo» dice l’avvocato Vincenzo Di Nanna che lo assiste e che intorno al caso Pellegrini ha aperto una sorta di mobilitazione, che vede schierato il Partito Radicale, poiché quello del pianista teatino è un caso a dir poco singolare. Da una parte infatti la cannabis, che Pellegrini coltivava per potersi curare, è l’unica terapia certificata dai medici per affrontare la dolorosissima fibromialgia che lo affligge. Ma dall’altra, quasi come una beffa, a ottobre del 2016 è arrivato il decreto commissariale (la sanità in Abruzzo all’epoca era ancora sub commissario) che nel disciplinare le modalità di erogazione e rimborsabilità dei farmaci a base di sostanze cannabinoidi per finalità terapeutiche, esclude dalle prescrizioni la riduzione del dolore nella fibromialgia. Ovvero proprio della patologia da cui è affetto Pellegrini.


E da quel momento per l’uomo sono state tre le alternative alla coltivazione in proprio della cannabis: pagarsi da solo le medicine benché indigente ma la spesa è elevatissima, di fatto insostenibile, tenersi il dolore o lasciare l’Abruzzo. Il decreto commissariale firmato dal Luciano D’Alfonso, secondo la difesa è manifestamente illegittimo e caratterizzato da carenza di potere, una figura più grave di nullità. «Il caso Pellegrini - è la conclusione dell’avv. Di Nanna -. pare una concomitanza di malasanità e malagiustizia, oltre ad evidenziare, qualora ce ne fosse bisogno, come il proibizionismo sia dannoso anche alla salute».
Alfredo D’Alessandro Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero