La scalata del Camicia e quel tragico precedente del '74

La scalata del Camicia e quel tragico precedente del '74
L'AQUILA - «La tragedia ci piombò addosso, imprevedibile, fulminea, a sera quando, già fermi, operavamo indipendentemente l'uno dall'altro...

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L'AQUILA - «La tragedia ci piombò addosso, imprevedibile, fulminea, a sera quando, già fermi, operavamo indipendentemente l'uno dall'altro nella preparazione del bivacco». E' la sera del 23 dicembre del 1974. Sta per calare il buio nella parte alta della ghiacciatissima parete Nord del Camicia. Tre aquilani, gli esperti Mimì Alessandri, Carletto Leone e il giovanissimo Piergiorgio De Paulis, appena 19 anni, si stanno preparando al loro terzo bivacco. «Sullo sfondo bianco della montagna intravidi la sagoma di Piergiorgio racconterà Mimì -, che si muoveva a pochi metri da me, volare indietro nel vuoto senza neanche un'esclamazione o un grido e scomparire in basso». Sono gli attimi più sconvolgenti dell'unica tragedia che ha preceduta quella di Roberto Iannilli e Luca D'Andrea, l'altro giorno, sulla stessa parete.


Fu un giorno drammatico, quel 23 dicembre, per la città dell'Aquila. «Era il primo tentativo di scalata invernale di quella parete racconta oggi Antonio Pace, all'epoca capo del soccorso alpino della Guardia di Finanza Piergiorgio cadde a circa 100-150 metri dalla vetta, facendo un volo di mille metri e arrivando a fondo valle. Carletto Leone rimase sotto choc. Alessandri lo assicurò e proseguì da solo fino alle vetta». 

LA DECISIONE - Una decisione maturata alle prime luci del mattino, dopo una nottata intera passata «in un assurdo dialogo con la morte», come raccontò Alessandri. La sua fu un'impresa quasi epica, in una condizione mentale incredibile: «Mi sentivo come uno che fino a un momento prima era convinto di morire e si ritrova vivo». Arrivato su riuscì ad allertare i soccorsi e a partecipare alle operazioni di recupero. Anch'esse incredibili: «L'elicottero del Soccorso alpino dell'areonautica ricorda Pace era guidato dal colonnello Fischione, di Lucoli (scomparso a Primavera, ndr). Le pale roteavano a 20-30 centimetri dalla parete. Fu uno dei primi interventi di quel tipo». L'Aquila patì molto quella tragedia. 


LO CHOC - «Fu uno choc dice Pace perché coinvolse tre aquilani, tre amici, alpinisti esperti. Anche Piergiorgio, che era molto giovane. Tre famiglie in vista, persone conosciute da tutti». Ci fu polemica, ovvio. Ma, rispetto alla tragedia di Iannilli e D'Andrea, c'è una differenza sostanziale: «Ne morì uno solo perché erano assicurati bene commenta Pace Nel caso di Roberto e Luca qualcosa non deve aver funzionato. La parete era ghiacciata, le temperature rigidissime. Era una prima invernale, mai fatta prima. La parete Nord del Camicia è certamente la più complicata del Gran Sasso: va presa con estrema attenzione». Pace è in grado anche di sollevare un interrogativo. Sembra che Iannilli e D'Andrea siano precipitati nella parte iniziale dell'ascesa, dove c'è uno zoccolo d'erba. «Sì, è un ripiano dice normalmente si aggira variando la traiettoria, non si percorre». Fu un chiodo a tradire il giovane Piergiorgio. Chissà, forse è stato un chiodo a tradire Roberto e Luca.  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero