Pollice amputato mentre lavora: reimpiantato dai chirurghi all'ospedale di Ancona

Infortunio con le forbici elettrice ad Atri: l'operaio portato nelle Marche per l'intervento

Pollice amputato mentre lavora: reimpiantato dai chirurghi all'ospedale di Ancona
 Cinque ore di lavoro intenso, sopraffini competenze, una preziosa strumentazione. Il dipartimento di Chirurgia ricostruttiva e chirurgia della mano dell’ospedale...

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 Cinque ore di lavoro intenso, sopraffini competenze, una preziosa strumentazione. Il dipartimento di Chirurgia ricostruttiva e chirurgia della mano dell’ospedale regionale di Torrette di Ancona, diretto dal professor Michele Riccio, ha scongiurato l’amputazione del pollice d’un uomo di 48 anni che aveva avuto un incidente sul lavoro. L’allerta è scattata sabato pomeriggio, quando il paziente s’è presentato al pronto soccorso di Atri, in provincia di Teramo, con la mano mutilata da una forbice elettrica. La scure dell’ennesimo incidente sul lavoro a cui s’è cercata, e trovata, una risposta nell’alta specializzazione in corsia.


La gravità del caso ha messo subito in moto i percorsi diagnostici terapeutici assistenziali interregionali, Pdta se stretti in una sigla, che prevedono la centralizzazione dei traumi complessi presso l’ospedale di Ancona, sede dell’hub di chirurgia della mano e dell’arto superiore. Riccio va all’origine di quell’ingranaggio: «Per la Fessh, l’associazione scientifica che ha lo scopo di promuovere e sviluppare la ricerca nel settore, noi siamo uno dei due poli d’eccellenza in Italia insieme al Cto di Torino». Sollecita la riflessione, per convertire il peso specifico di quel ricucire ossa, tendini, vasi e nervi, ed evitare la sentenza d’un destino da disabile a vita. «Il pollice è essenziale per l’attività lavorativa di quell’uomo. È un dito fondamentale per l’evoluzione della specie, è quello che ci ha distinto dalle scimmie. Perderlo significherebbe compromettere una esistenza». Una consapevolezza, la sua, che ha fatto scattare una corsa contro il tempo. La notte tra sabato e domenica, in via Conca, sono entrati in azione, e in sala operatoria, due chirurghi della sua equipe, Olimpia Mani e Alexander Dietrich Neuendorf. Erano lì, insieme al personale infermieristico altamente qualificato, pronti ad accoglierlo. Ripristinata la vascolarizzazione del moncone e ricostruiti i nervi digitali, l’uomo è tornato in camera alle prime luci dell’alba, dov’è ancora ricoverato in prognosi riservata.


Un’impresa che Riccio piega alla logica dei grandi numeri: «Dei 1.300 interventi l’anno che garantiamo, 500 sono in urgenza e 200 sono casi devascolarizzati». Non rinuncia all’analisi sociale, che è alla base del fare eccellenza: «Circostanze di questo genere nelle nostre zone si verificano spesso per le caratteristiche del tipo di produzione, come quella dei calzaturieri, che non concede molti margini all’automazione spinta. La macchina e la mano del lavoratore spesso sono molto vicine». Troppo. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero