La Tuscia Viterbese a tavola tra Natale e Capodanno: tutti i menù che vengono da lontano

Maccheroni con le noci
di Carlo Maria Ponzi
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Venerdì 22 Dicembre 2023, 05:20 - Ultimo aggiornamento: 18:56

Ma accanto ai Presepi viventi, nel periodo natalizio la Tuscia dà il meglio di sé nei deschi familiari che si apparecchiano nei giorni clou. Per sapere di tutto di più sui diversi menù che vengono da lontano (in larga pare ancora in vigore) basta dare la parola al maggiore storico della gastronomia del Viterbese, Italo Arieti (1933-2017), e sfogliare le pagine del suo “Tuscia a tavola. Ricette, curiosità, tradizioni gastronomiche dell’Alto Lazio” (Primaprint, 1996).

L’incipit delle abbuffate è il pranzo della vigilia di Natale che, in vista del lauto Cenone serale, è semplice e leggero grazie a piatti quali la minestra di ceci e castagne o la zuppa con gli stessi prodotti; la minestra con l’arzilla e i broccoli; nei comuni dei laghi di Bolsena e Vico, minestra di tinca con i tagliolini.

Per il Cenone della vigilia di Natale, la lunga tradizione impone (in ossequio ai precetti della Chiesa, per cui durante la quaresima e le vigilie delle principali feste religiose si deve rinunciare ai cibi grassi come segno di penitenza)  che il primo debba essere composto da linguine col tonno o con le acciughe (nei borghi lacustri, spaghetti con il sugo di anguilla e quindi anguilla e luccio fritti e in umido); frittelle di broccoli, zucca, mele, baccalà; capitone alla brace; ancora baccalà, ma in  arrosto, o in umido; per finire, maccheroni dolci con le noci, che si possono usare anche come primo piatto, seguiti da una teoria di frutta secca ovvero fichi, nocciole, noci, mosciarelle.

Avvertenza: almeno un tempo – annotava Arieti – altra caratteristica del Cenone era quella del numero fisso di portate: spesso ricorreva il numero sette o suoi multipli.

Per il pranzo di Natale la consuetudine alimentare è far sfilare piatti come i tagliolini in brodo di cappone ripieno, servito poi come secondo; fritto misto (cotolette d’agnello e di verdure); pangiallo, panettone, panforte, maccheroni con le noci che nella cucina viterbese sono il tipico dolce di culto natalizio,  

Il gran finale è il Cenone di San Silvestro. Che si trasforma in una sorta di rito propiziatorio, tanto da non derogare al consumo di cibi che simbolicamente rimandano al denaro e all’abbondanza: da qui, il sapido desinare, da un lato, con le lenticchie con il cotechino o con lo zampone, dall’altro con l’uva in grappoli.

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