Violenze in campagna elettorale: cattivi umori, calcoli interessati e vecchie bandiere

Alessandro Campi
di Alessandro Campi
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Giovedì 22 Febbraio 2018, 20:53
Perugia dopo Palermo. Nel capoluogo siciliano i rossi hanno aggredito e malmenato un nero. Da noi i neri hanno tentato di accoltellare un rosso. E poi ci sono stati, nei giorni scorsi, i rossi che hanno picchiato selvaggiamente un carabiniere caduto a terra. Il nero (ideologicamente) che ha sparato contro in neri (per il colore della pelle). E giungono da settimane notizie di scaramucce e tensioni tra opposti gruppi politici. Si susseguono dichiarazioni di fuoco, dall’insulto alla minaccia verbale, tra esponenti dei diversi partiti.

Mentre a quelli che dicono che sta tornando il fascismo (Boldrini), c’è chi risponde che bisogna piuttosto aver paura dell’antifascismo (Berlusconi). Ma cosa sta accadendo? Sono solo le tensioni legate al voto del prossimo 4 marzo?
Lo si dimentica spesso, ma l’Italia storicamente ha un’antica consuetudine con la violenza politica. Tra assassini di avversari politici, bombe, attentati, congiure, risse e aggressioni non ci siamo fatti mancare niente nei secoli. Solo nel Novecento (apertosi con l’omicidio di Umberto I) sono state numerose le uccisioni eccellenti di politici, da Matteotti a Aldo Moro. Un’intera stagione della nostra vita pubblica – dai primi anni Settanta alla metà degli anni Ottanta – va sotto la formula eloquente e sinistra di “anni di piombo”: secondo le statistiche furono 428 i morti di quel terribile periodo, cui vanno aggiunti gli oltre mille feriti, per un totale di 14615 attentati compiuti per le strade italiane. Un calcolo che tiene insieme lo stragismo nero, il brigatismo rosso e la violenza di strada endemica tra “fascisti” e “compagni”.

I paragoni storici sono sempre azzardati, ma dal momento che l’Italia è un Paese dove si passa facilmente dal grottesco al tragico e dal comico al drammatico forse converrebbe fermarsi un attimo e chiedersi se, così continuando, a colpi cioè di insulti e parole violente in libertà, cui sempre nella storia seguono atti e comportamento a loro volta violenti, non si rischi di finire in una spirale pericolosa di sangue.
Le condanne pubbliche di aggressioni e gesti sconsiderati da parte di partiti ed esponenti politici sono quasi sempre pelosi e strumentali. Si dicono belle parole, intrise di un’insopportabile retorica, ma non si ha quasi mai la forza di andare al cuore del problema. Soprattutto si coglie sempre un retro pensiero giustificatorio a beneficio della parte politica con cui si simpatizza o che si sente più vicina. Quando invece non si preferisce un silenzio imbarazzato o imbarazzante. Senza considerare che dietro il biasimo ufficiale si nasconde sempre il calcolo interessato dei vantaggi (politici ed elettorali) che potrebbero venirne.

Un modo di fare, non solo ambiguo, ma profondamente sbagliato e pericoloso. Che si spiega anche alla luce del vuoto progettuale e di idee che è forse la vera causa per cui i partiti, non avendo quasi più nulla da dire ai potenziali elettorali, si sono concentrati sull’unica cosa che ancora gli riesce di fare bene: l’insulto, la delegittimazione dell’avversario, l’allarmismo propagandistico, il richiamo ai fantasmi di un passato che sembrava sepolto per sempre.

Sia chiaro, le ragioni di disagio non mancano e spesso sono reali. In giro c’è rabbia e malumore. Ma una politica seria i problemi cerca di risolverli, non li trasforma in armi di mobilitazione contro il nemico. Ma quello che rischiamo di pagare è l’addestramento all’odio e alla rissa che è stata un po’ la costante della politica italiana degli ultimi vent’anni, con un crescendo che ci ha condotti al caos attuale. Rischiamo insomma di raccogliere le tensioni e i cattivi umori seminati irresponsabilmente nel corso degli anni. E di farlo, supremo paradosso, abbracciati a bandiere e formule ideologiche anacronistiche. Chi ha ancora sale in zucca e un po’ di senso della responsabilità, si faccia sentire. Se non ne hanno i partiti, che invece di placare gli animi fomentano questo clima, che l’abbiano almeno i cittadini, cui la saggezza impone di non partecipare in alcun modo alla guerra per bande che sembra ricominciata nelle nostre strade.
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