Pubblica amministrazione, gli imboscati
vero tema per l'efficienza e il risparmio

Alessandro Pardini con il sindaco Leo Di Girolamo
di Alessandro Pardini
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Martedì 23 Settembre 2014, 05:54 - Ultimo aggiornamento: 17:08
TERNI - Lavoro, articolo 18, spending review e funzionamento della macchina pubblica. La riflessione di Alessandro Pardini, primario della Cardiochirurgia dell'azienda ospedaliera Santa Maria di Terni. «So bene di non aver nessun titolo per avanzare suggerimenti a chicchessia e in particolare al Premier Matteo Renzi, tuttavia vorrei provare ad entrare sommessamente nel dibattito circa la più ampia discussione sul lavoro, che occupa in questi giorni le prime pagine dei giornali.

Tralascio la surreale discussione sull'articolo 18, che riguarda una stragrande minoranza di lavoratori, mentre la maggior parte degli italiani, soprattutto giovani, sono senza alcun lavoro o alle prese con una delle mille forme di precariato che la insipienza di una classe politica ,con la connivenza di sindacati obsoleti, ha prodotto negli ultimi 15 anni. Vorrei invece esaminare una aspetto apparentemente marginale, ma che soprattutto nella pubblica amministrazione assume dimensioni impressionanti, che è quello dei dipendenti totalmente demansionati o comunque a mansioni ridotte. Tale fenomeno, che abitualmente viene detto degli “imboscati” , assume poi carattere particolarmente significativo in epoca di taglio al personale, di spending review, ed ancor più in settori sensibili come la sanità o la scuola. Ci si spiega ogni due per tre che dobbiamo ridurre i costi della macchina dello stato, che dobbiamo recuperare efficienza riducendo i costi, e per tale motivo si blocca praticamente il turnover del personale , facendo si che quello in servizio è spesso costretto a turni massacranti senza che neppure vengano riconosciuti gli straordinari.

Ebbene in questo quadro è stupefacente osservare la quantità di dipendenti pubblici in servizio negli ospedali ad esempio, che svolgono attività diverse da quelle per cui percepiscono lo stipendio. Uffici inventati per fare posto alla caposala ormai stanca e demotivata, funzioni direttive inesistenti per dare un ruolo al capo del personale tagliato fuori dalla nuova dirigenza, e via discorrendo. Perché queste persone non tornano alle loro reali funzioni una volta terminato di ricoprire un ruolo magari anche direttivo? Perché abbiamo corridoi intasati di infermiere ed infermieri che trasferiscono carte da un ufficio all'altro anziché stare in corsia?

Per giustificare incarichi sempre più fantasiosi si sono inventati il ruolo dei coordinatori, poi degli ottimizzatori, al punto che però tra non molto non vi sarà più nessuno né da coordinare né da ottimizzare.

Mi domando se in tal modo non si creano insopportabili discriminazioni che favoriscono pochi e si fa pesare il lavoro vero sulle spalle di coloro che magari non avendo santi in paradiso fanno un lavoro doppio. E che dire della quantità di dipendenti a cui medici di manica particolarmente larga riconoscono varie forme di invalidità, grazie alle quali vengono esentati dai lavori più pesanti? Non è una forma di discriminazione al contrario nei confronti di chi esenzioni non ha e quindi deve lavorare anche per il collega “malato”.

In tutto questo quale il ruolo del sindacato? Quale quello della politica? E se poi si scopre che molti di quelli che usufruiscono di tali trattamenti di favore sono molto vicini a questa o quella sigla, se non ne sono espressioni spesso ufficiali? Probabilmente questo mio ragionamento verrà tacciato di qualunquismo o di facile demagogia da qualcuno, tuttavia io credo che chiunque viva dentro realtà complesse quali un ospedale od una scuola, abbia davanti agli occhi ogni giorno realtà come quelle che ho descritto.

Invece credo che sia compito di ognuno di noi, in un momento di particolare crisi come questo, contribuire a modificare vecchie liturgie, far cadere vecchi muri di omertà, che in realtà nascondono privilegi per pochi, e provare a battersi perché il recupero dell'efficienza e l'abbattimento dei costi della macchina pubblica, anziché avvenire riducendo i servizi e la loro qualità, derivi dall'impegno di ciascuno a svolgere fino in fondo con onestà il proprio lavoro, nel più ampio rispetto del lavoro degli altri».