Embrioni pecora-uomo, speranza per i trapianti

di Giuseppe Novelli
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Martedì 20 Febbraio 2018, 01:01
Quante cose saremmo sul punto di conoscere se il timore o la negligenza non frenassero le nostre ricerche»: era all’incirca il 1816 quando la diciannovenne Mary Shelley scriveva il suo “Frankenstein”, eletto ad emblema della paura per lo sviluppo tecnologico per i secoli a venire.

Abbiamo commentato di recente, su queste pagine, numerose nuove scoperte scientifiche accolte con entusiasmo o paura a seconda del punto di vista. Zhong Zhong e Hua Hua, le prime scimmie clonate con la “tecnica Dolly”, giocano ancora tranquille nel loro laboratorio-nursery mentre il mondo, oggi, apprende di un nuovo passo avanti compiuto dai ricercatori della Stanford University: lo sviluppo di embrioni di pecora potenzialmente capaci di creare organi umani, perché contenenti cellule che dall’uomo provengono.
In che direzione stiamo andando? Ogni anno vengono effettuati in Italia circa 3700 trapianti di organi, con un trend positivo registrato negli ultimi due anni che fa ben sperare i molti malati che non possono fare altro che aspettare: sono 9000, secondo le stime. Le liste d’attesa diminuiscono soprattutto per il rene e il polmone, mentre la situazione resta più in stallo, purtroppo, per gli altri organi. Nonostante i diversi provvedimenti legislativi e le politiche di informazione corretta e positiva, esiste una carenza di organi e tessuti per la quale non si riesce a soddisfare la necessità clinica di organi biologici compatibili per un trapianto. 

Di fronte a questa carenza assoluta, scienziati di tutto il mondo stanno cercando strade alternative come il trapianto di organi di origine animale (xenotrapianto), la produzione di organi in laboratorio a partire da cellule staminali, la possibilità di modificare geneticamente le cellule del ricevente per ridurre i fenomeni di rigetto e molte altre. Alcune di queste strategie, come lo xenotrapianto, sono state fortemente limitate per il rischio di trasmissione di malattie virali o a causa delle dimensioni dell’organo da trapiantare. 

Più recentemente, le nuove tecniche di ingegneria genetica unita alla possibilità di ottenere facilmente cellule staminali umane (iPSC) ha stimolato molti laboratori a produrre organi trapiantabili da cellule staminali pluripotenti del paziente all’interno di animali, in modo da ottenere la costruzione dell’organo in vivo con la stessa architettura richiesta comprendente dozzine di tipi cellulari specializzate attraverso le interazioni con altre cellule e organi durante lo sviluppo. In pratica, l’ospite-animale consente lo sviluppo in 3D di un organo a partire da cellule umane grazie a embrioni chimera, sviluppo che non sarebbe realizzabile operando in toto in ambiente laboratoriale. Esperimenti effettuati su altri modelli animali hanno permesso di ottenere ad esempio un pancreas di topo in un ospite di ratto. Lo scopo: ottenere nel pancreas un numero sufficiente di cellule produttrici di insulina, utilizzate per curare topi diabetici senza immunosoppressione. Altri esperimenti sono in corso per generare organi interspecifici simili per il rene e il timo. 

Questi risultati suggeriscono che potrebbe essere possibile coltivare organi in animali da fattoria e utilizzarli per salvare persone con insufficienza d’organo allo stadio terminale. Poiché l’organo trapiantato sarebbe autologo – cioè composto dalle cellule del paziente – il paziente probabilmente non dovrebbe assumere farmaci immunosoppressivi potenzialmente dannosi. E si abbatterebbero i rischi di rigetto.

La medicina rigenerativa, compresa la terapia di trapianto cellulare e l’ingegneria tissutale, offre un approccio efficace per lo sviluppo di trattamenti di malattie intrattabili. La disponibilità di tecniche innovative di modifica dei geni come CRISPR / Cas9 può aiutare a raggiungere questo obiettivo. L’editing genico ad esempio, può anche essere utilizzato per disattivare geni che codificano retrovirus endogeni potenzialmente infettivi e quindi eliminare o ridurre fortemente il rischio di infezioni virali da organi di animali o per facilitare l’impianto di cellule di altre specie durante la produzione di organi. 

Come sempre, le biotecnologie sollevano dubbi, paure e ansie. Una delle maggiori preoccupazioni dei ricercatori è che le chimere possano diventare “troppo umane”, contribuendo per esempio in futuro alla formazione del cervello. Se l’obiettivo a lungo termine è usare il corpo animale come incubatrice per coltivare organi funzionali costituiti di cellule umane da poter usare nei trapianti, si chiedono in molti, non c’è forse il rischio di “perdere” il controllo sugli esperimenti, creando esemplari “intelligenti” con cellule umane nei loro cervelli?

Sembrano scenari fantascientifici, e probabilmente lo sono. Il cervello umano è probabilmente troppo complesso – e ancora troppo sconosciuto – per essere riprodotto. D’altro canto, cautela e prudenza devono guidare ogni nostro passo, anche quelli più rivoluzionari. Non dobbiamo dimenticare quanto affermava Lewis Thomas, che definiva la scienza “una accorta manovra per scoprire il mondo”. È con la scienza che possiamo sperare di rispondere agli interrogativi dell’uomo. È con la scienza che possiamo contribuire a migliorare la qualità della vita del singolo. Ed è grazie alla scienza che procediamo lungo un percorso affatto semplice, che va conquistato tappa dopo tappa. Senza perdere d’occhio la stella polare: il progresso dell’umanità nel rispetto della vita.

* Genetista e rettore dell’Università di Tor Vergata
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