Architettura, effetto pandemia pure sulle forme

Architettura, effetto pandemia pure sulle forme
di Mauro Anelli
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Giovedì 28 Maggio 2020, 01:37
Come stanno ripensando il mondo post-covid gli architetti e i designer? Dal paesaggio urbano ai tasti del citofono cambierà tutto. Layout di case e spazi pubblici, marciapiedi e parchi, fino al livello nanotecnologico nell’uso di materiali antibatterici, con uno tsunami di brevetti che si sta già trasformando in progetti operativi e titoli su cui investire. Come accadde con le precedenti pandemie, anche l’estetica verrà plasmata dalla paura del contagio. Il colera modificò la struttura delle nostre città, imponendo la progettazione di sistemi fognari che influenzarono la costruzione delle strade, più dritte e larghe, elemento chiave per lo sviluppo di piani urbanistici che miravano a ridurre il sovraffollamento dei quartieri popolari. Con la tubercolosi invece cambiò l’aspetto dei luoghi dove vivevamo, con ambienti inondati di luce e dipinti di bianco, bagni piastrellati e una vaga atmosfera da sanatorio. E anche in quel caso fu la paura dell’infezione, che prese forma e diventò funzione. Immaginare in fretta il nostro futuro è quindi la missione che stanno affrontando i grandi studi di architettura, partendo dal fattore distanziamento. Pensate agli ascensori pieni di gente, le maniglie, i corridoi stretti o gli uffici open space. O alla vostra casa, a come dovrà adattarsi al lavoro da remoto e alle lezioni a distanza dei figli. Tutte sfide che stiamo vivendo già in questi giorni, tentando di vincerle a colpi di nastro adesivo e pannelli di plexiglass in attesa di adattarci, una delle poche virtù che all’uomo non manca.

DISTANZA CRITICA
Se nel prossimo futuro, com’è probabile, sarà imposta per legge un’area minima per persona negli uffici, o negli spazi comuni, oltre agli ambienti chiusi muterà anche lo skyline delle città. Secondo Arjun Kaicker, veterano della Foster & Partners e ora nell’ufficio di comando della Zaha Hadid Architects «i grattacieli saranno troppo costosi e meno efficienti e tenderanno a scomparire, così come muteranno scale e affollate aree open space». Il suo team è al lavoro su un centro direzionale negli Emirati, progettato per diventare un modello di architettura post-covid, con l’obiettivo di eliminare il contatto diretto con le aree comuni e passare dalla strada al proprio ufficio. Qualsiasi interazione fisica è stata eliminata. Tende, aria condizionata, illuminazione, ascensori e persino il caffè saranno gestiti dallo smartphone. I dipendenti potranno “navigare” all’interno della sede aprendo porte con il riconoscimento facciale e attraversando hall extralarge e ampie scalinate. In fondo anche prima dell’arrivo del covid l’80% delle malattie infettive veniva trasmesso attraverso il contatto con le superfici, un fattore che le grandi città asiatiche hanno iniziato ad affrontare prima di noi a causa della sovrappopolazione delle megalopoli e dalle recenti epidemie di Sars. Un altro grande tema in carico agli urbanisti è sfruttare la crisi per rielaborare la struttura delle grandi città, ritenute un amplificatore di contagi, come ha twittato ad aprile il sindaco di New York Andrew Cuomo. Tuttavia, sembra che i centri urbani più evoluti abbiano risposto meglio del previsto alla pandemia e Il nuovo paradigma progettuale non sarà decentrare e spostarsi in auto, ma rendere più percorribili le città, prendendo a modello quei pochi esempi esistenti di smart city, come Toronto o Seoul. Wouter Vanstiphout, professore di design alla Delft University of Technology nei Paesi Bassi, su questo tema ha le idee chiare: «Abbiamo enormi ospedali e persone che vivono una sopra l’altra, ma che devono ancora percorrere lunghe distanze attraverso la città per raggiungerli. La pandemia suggerisce che dovremmo frammentare in unità più piccole i presidi sanitari o le scuole, distribuendole sul tessuto urbano». In poche parole, maggiore controllo del territorio, big data da spulciare, welfare e sanità al centro dei programmi degli Stati. A sostenere la tesi del professore olandese, l’esperienza del lockdown ci ha mostrato che la via sotto casa può diventare strada principale, con i piccoli negozi in grado di sopperire alle difficoltà della grande distribuzione, compensando l’isolamento forzato con la scoperta di nuovi riferimenti urbani, dove le relazioni umane sono meno occasionali rispetto all’atmosfera da duty free di un centro commerciale.

CASE SMART
La visione di città percorribili ricche di aree verdi e la crescita esponenziale di smart workers, dovrà fare i conti anche con le nostre abitazioni.
Abbiamo preso coscienza della necessità di avere spazi domestici che non siano ottimizzati in cubature claustrofobiche e poco illuminate. La presenza di terrazzi abitabili, ampie finestre e più bagni o la necessità di una stanza in più rispetto al numero dei membri della famiglia diventeranno fattori critici nella scelta di una casa, che muteranno radicalmente il modo di vivere dei grandi centri urbani. 
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