Dall'hotel Raphael a Silvio Berlusconi: arriva in tv il sequel 1993

Dall'hotel Raphael a Silvio Berlusconi: arriva in tv il sequel 1993
di Ilaria Ravarino
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 5 Aprile 2017, 08:13

L'hotel Raphael, le monetine lanciate su Craxi, il tintinnio del metallo sui cruscotti delle auto dai vetri scuri. Di lui, Bettino, facciamo in tempo a intravedere solo il volto tirato mentre esce in silenzio dall'albergo dove l'aspetta la folla inferocita. Non è passato nemmeno un minuto dall'inizio di 1993, il sequel della serie di Sky prodotta da Wildside sugli anni di mani pulite, ed ecco che nei corridoi del Raphael entra in scena, a qualche istante dall'inizio dei titoli di testa, il personaggio destinato a dominare carismaticamente l'intero episodio (e forse, è il sospetto, l'intera stagione): Silvio Berlusconi. «In realtà è un falso storico - spiega Ludovica Rampoldi, sceneggiatrice insieme a Stefano Sardo e Alessandro Fabbri, durante una presentazione del pilota della serie, in onda dal 16 maggio, a Cannes - perché la visita di Berlusconi a Craxi, all'Hotel Raphael, fu il 29 aprile e non il 30.

Ci siamo presi una piccola licenza, ci sembrava importante ricominciare in questo modo la storia. Quel momento per il paese è uno spartiacque decisivo. Segna la nascita del populismo assetato di sangue, quando si identifica il nemico e contemporaneamente si riversa una fiducia cieca in chi l'ha abbattuto». Dopo aver raccontato «la rivoluzione» di mani pulite in 1992, la serie nata da un'idea di Stefano Accorsi e girata da Giuseppe Gagliardi alza il tiro. E prima di raccontare la «restaurazione» in 1994 («Lo stiamo scrivendo adesso») affronta di petto, con 1993, «l'anno del terrore, quello delle bombe senza mandanti, delle tribune del popolo che chiedono la testa di un'intera classe dirigente, l'anno degli scandali che scoppiano e della feroce guerra causata da un vuoto di potere». L'anno della maxitangente Enimont, del suicidio di Gardini, l'anno in cui Craxi finirà in un'aula di tribunale. Ma soprattutto: l'anno cruciale in cui Silvio Berlusconi maturerà la decisione di scendere in campo.
A portarlo sullo schermo, in un difficile equilibrio tra libera rappresentazione e mimesi, è l'attore teatrale Paolo Pierobon, in una performance che restituisce efficacemente un Berlusconi prima maniera: il seduttivo uomo qualunque più che il tycoon delle cene eleganti, il patron del Milan dalla battuta pronta più che il politico che parla di sé in terza persona.

SILVIO E MASSIMO
L'uomo insomma capace di costruirsi un mausoleo in giardino («Ci siamo documentati, la scenografa l'ha riprodotto perfettamente») e poi scherzarci sopra. «Era un uomo simpatico, un grande seduttore, non sarebbe stato giusto rappresentarlo diversamente - hanno detto gli sceneggiatori - perché anche se mezzo paese si è spaventato, quando è entrato in politica, per l'altra metà è stata una scelta esaltante». Per inciso, tra quelli che non si sono né spaventati né tantomeno esaltati c'era anche Massimo D'Alema, che nel primo episodio di 1993 appare con il volto, i baffi e la sicumera di Vinicio Marchioni: «L'abbiamo rappresentato come un simpatico antipatico che non crede che quello di Berlusconi sia nemmeno un partito». Ma il protagonista di 1993, giurano gli autori, «non è Berlusconi. Anzi il suo personaggio alla fine non ha nemmeno così tante pose. Ma è così forte nelle nostre teste, che fatica a restare sullo sfondo».
In primo piano, come nella serie precedente, restano i personaggi di fantasia alle prese con l'arena reale della politica e della società italiana: l'uomo di Publitalia Stefano Accorsi, con una nuova compagna (Laura Chiatti) e la stessa ambizione di prima, la showgirl di Miriam Leone, Veronica Castello, che punta al Maurizio Costanzo Show dopo aver conquistato un sempiterno Gigi Marzullo (unico a interpretare se stesso), il leghista Pietro Bosco, con il volto sempre più disperato di Guido Caprino.
La politica, appunto. Resta, come nella prima serie, il divertimento di raccontare un'epoca, gli anni Novanta, ancora non rielaborata dal vintage e fresca nei nostri ricordi: quella del Processo del Lunedì di Biscardi, degli stacchetti con le ballerine discinte in prima serata, dei dvd sugli scaffali, di Informer e What is love alla radio. «In quegli anni la politica diventa televisione, i politici presenza fisse nei talk show. Anche la giustizia, col processo Cusani, va in diretta tv. Come in un gioco di specchi, raccontiamo in tv la tv che diventa il luogo del potere». Prima di consegnare lo scettro alla sue erede: la rete.