Di Giacomo e quel "debutto" alla scuola delle monache al Pigneto

Francesco Di Giacomo (Foto Sbardella)
di Guido Bellachioma
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Domenica 23 Febbraio 2014, 09:48 - Ultimo aggiornamento: 24 Febbraio, 13:48
E’ un ricordo con le lacrime agli occhi. Parole scritte con il cuore da un amico. Da uno che lo conosceva bene. Guido Bellachioma racconta in esclusiva per Il Messaggero Francesco Di Giacomo. La Sardegna, Roma, le prime esperienze e l’umanità della voce del Banco. Poche e intense parole da chi rappresenta ancor oggi la memoria del Progressive italiano.



«E mi viene da pensare ho scritto canzoni con la mano piena di rabbia e di convinzioni...»



21 febbraio 2014: immensa tristezza, è morta una persona cara… è scomparsa una parte della musica stessa… di cui era voce, anima, operaio e sublime interprete al tempo stesso. Oggi non ho voglia di parlare di musica, di scrivere quanti dischi avesse inciso Francesco Di Giacomo, il più grande cantante del rock italiano insieme a Demetrio Stratos, su Internet si trova di tutto e di più… oggi ho solo voglia di parlare di Francesco…





LA VISITA ALL'AMICO

Avevo giurato di non farlo. Non ce l'ho fatta a mantenere questa promessa, mentivo a me stesso sapendo di farlo, perso in partenza; così mi sono armato di coraggio e sono andato a trovarlo, nonostante nella mia vita sia stato pochissime volte in quei... posti, di cui odio pronunciare persino il nome, che hanno uno strano odore. Più che di morte… di malinconia, quasi il dolore stordisse i sensi… probabilmente sorta d’indotta difesa, impossibilità di vivere tutto il dolore di botto, da soli pur in mezzo alla gente.



Ci sono stato a forza per mia madre e mio padre… preferisco ricordare le persone con la linfa della vita. Non ho paura della morte, forse perché amo tanto la vita, come l’amava Francesco. Ho pensato a quel suo modo strascicato di apostrofarmi, e anche un po’ prendendomi in giro: «A Bellachio’, che stai a fa? Sempre a traffica’ co’ sto’ progressive! Guarda che io so’ bravo a fare pure altre cose»…



AMAVA I BEATLES, IL FADO

E bravo lo era sul serio. Mica solo a “giocare” con la musica Prog insieme a suo “fratello” Vittorio Nocenzi e al resto di tutti i membri della famiglia del Banco del Mutuo Soccorso, in qualsiasi incarnazione. Amava il Fado, i Beatles, narrava storie di vita in modo insuperabile, facendoti ridere anche quando raccontava i dolori, non solo le gioie. Mi piaceva ascoltarlo, soprattutto quando non parlava di musica perché le sue parole avevano il ritmo delle emozioni sincere.





LA SUA SARDEGNA

Ci sorridevamo mentre ricordava i giorni passati in Sardegna, nato il 22 agosto 1947 a La Caletta, frazione di Siniscola (Nuoro), dove era rimasto fino a 5 anni. Leone come me, più sornione di me, fiero e pigro al tempo stesso. Gli si accendevano gli occhi nel raccontarmi di Eligio ed Elvezia, il padre e la madre; il primo lo prendeva in sella al proprio cavallo e… via in giro nei posti intorno alla loro casa, sospesa tra il mare e la montagna, tra le ginestre e la salsedine, e al ritorno, affamati, trovavano una marea di leccornie ad attenderli. La madre era una cuoca sopraffina e Francesco ne godeva abbondantemente. E il mare intorno lo faceva assomigliare a quei pesciolini che catturava con un amo e un filo, preso in prestito dai pescatori che gli volevano bene; li metteva in una vasca naturale, formata in un incavo delle rocce dove rimaneva sempre l’acqua, e li osservava per ore, poi li liberava, naturalmente. E mi raccontava anche aveva una guardia del corpo: un cagnone grande grande, almeno così sembrava a lui, dal nome bizzarro alquanto… “Giudicati”… insieme per ore e quando non camminavano semplicemente stavano sdraiati ad osservare il mare.



IL RITORNO A ROMA

Poi il ritorno a Roma. Un giorno mentre gli chiedevo qualcosa sull’esperienza inglese con la Manticore di Emerson Lake & Palmer mi zittisce così: «Lo sai quando ho cantato veramente per la prima volta? -Senza aspettare la mia risposta prosegue-: Alla scuola delle monache in cui andavo al Pigneto, avevo una bella voce, forse la più bella della scuola, solo – e ride profondamente – che mi facevano cantare con le bambine. Ero l’unico maschietto in mezzo alle femminucce».



LA TRISTE VISITA

Questa mattina, mentre andavo all’Istituto di medicina legale a trovarlo, non pensavo al Banco del Mutuo Soccorso, alle splendide canzoni che ci ha donato con Vittorio, ai racconti sui festival pop e ai “leggendari” anni ’70, al Francesco artista, bensì al Big uomo, rimasto un po’ bambino nel suo eterno rincorrere le emozioni, e a quel punto mi è spuntato un breve sorriso. Quando sono arrivato ho trovato amici e persone semplici con la stessa mia incredulità negli occhi e la segreta speranza che si alzasse da un momento all’altro e dicesse: «Ho scherzato».

Sono rimasto da solo con lui per qualche minuto a pensare, senza forze, le mie lacrime, sono sicuro, erano anche le vostre, ero convinto di non averne più.



IL TRIBUTO DEI SOCIAL

Il popolo di Facebook e di Internet, che a volte ha un grande cuore, gli ha tributato commossi e omaggi e sicuramente gli si stringerà intorno anche per l’ultimo abbraccio al funerale nei prossimi giorni, appena le procedure burocratiche lo permetteranno. Francesco, anche se era il primo a prendersi in giro, anche “cinicamente”, era davvero la voce più bella di questa straordinaria musica senza confini che misteriosamente qualcuno ha definito “rock progressivo”. Gli altri amici/artisti non se ne abbiano a male, Big era unico.





L'ULTIMO SORRISO

Cantiamo le sue/nostre canzoni come le avrebbero cantate i nostri nonni… perché ancora ci facciamo le foto con le nonne dei paesi e sentiamo le loro storie di magie e di speranze… ed è ancora da quelle foto in bianco nero, foto di sudori, sorrisi e speranze, che troviamo la nuova poesia. I nostri avi non portavano cappelloni e non guidavano diligenze come nei film western di John Ford… ma, a dorso d’asino e un cappello di paglia con una spiga di grano tra i denti, immaginavano forte qualcosa che non li avrebbe traditi… un amore… un amico… un paese… ed è a loro memoria e a nostro futuro che andiamo in giro a raccontare di come la canzone della nostra vita possa e debba essere “progressiva”, proprio in questi tempi ineducati e frettolosi, funestati da MP3 di bassa qualità e suoni di sottofondo scambiati per musica… come un vecchio giro d’Italia di 50 anni fa, quando si andava a trovare la gente sull’uscio di casa… e non si andava mai via senza un sorriso senza un saluto senza un abbraccio…



Ciao Francesco… per noi sarai sempre Big del Banco… fino alla fine nei nostri cuori…
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