Ricordo di Giulio Questi, regista, scrittore, partigiano. E uomo libero

Ricordo di Giulio Questi, regista, scrittore, partigiano. E uomo libero
di Fabio Ferzetti
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Venerdì 5 Dicembre 2014, 19:00 - Ultimo aggiornamento: 12 Dicembre, 01:30
A pochi giorni dalla retrospettiva del Torino Film Festival, è morto a Roma Giulio Questi, scrittore, regista di cinema e tv, e ancor prima partigiano. Nato a Bergamo nel 1924, venerato dai cinefili (e dall’immancabile Tarantino) per i suoi tre film girati negli anni 60-70, tutti "di genere" e insieme del tutto inclassificabili (“Se sei vivo spara”, “La morte ha fatto l’uovo” e “Arcana”), questa primavera era tornato alla ribalta con una magnifica raccolta di racconti sugli anni della guerra civile, “Uomini e comandanti” (Einaudi), seguita da un libro di “Frammenti autobiografici” intitolato con molto understatement Se non ricordo male (Rubbettino).



Nato da una serie di conversazioni con Domenico Monetti e Luca Pallanch, amorosamente limate parola per parola da Questi, “Se non ricordo male” è il testo ideale per accostarsi a un personaggio che merita di essere conosciuto. Anche perché non è una semplice autobiografia ma molto di più.



È l’autoritratto generoso e entusiasmante di un percorso eccentrico quanto esemplare in cui si ritrovano non solo tutti i grandi e piccoli protagonisti della stagione più feconda del nostro Novecento (da Fenoglio a Fellini, da Rosi a Antonioni, da Petri a Montaldo, da Flaiano a Garcia Marquez e a mille altri), ma tutti i sogni e le speranze, le tensioni e le esperienze che hanno nutrito la Resistenza e il dopoguerra, quando «tutto era frenetico e vibrante e a volte pazzesco».



Filtrati da una vivacità quasi fanciullesca e insieme dal distacco di chi sa che «la memoria non è uno scaffale dove si trovano oggetti definiti e inanimati», bensì «una straordinaria pinacoteca di fantasmi che quando escono dai loro quadri e ti vengono incontro tu cerchi di dar loro un volto», come diceva lui stesso a Angelo Bendotti, lo storico che per anni, dopo il precoce riconoscimento di Elio Vittorini, ha incoraggiato le sue prove letterarie (sua la densa e preziosa postfazione alla racolta Einaudi).



Difficile definire meglio la letteratura e forse anche il cinema di Questi, che per tutta la vita ha cercato di «dare un volto ai fantasmi» di una stagione vissuta in prima persona da un pugno di uomini, e dimenticata (cioè celebrata, strumentalizzata, in definitiva tradita...) da tutti gli altri. Per cercare in quell’esperienza verità di ordine superiore a quelle dei libri di storia. Con una tenacia e un coraggio che fanno dei suoi racconti e dei suoi ultimi corti, girati nell’ultimo decennio letteralmente dentro casa, facendo tutto da sé, due facce di una sola medaglia (imperdibili e raccolti in un cofanetto di dvd dalla Ripley sotto il titolo “By Giulio Questi”).



Fino a dare l’impressione, paradossale, di una vita e di un’arte perfettamente compiute, nella loro eccentricità e nella loro voluta marginalità. Si dice sempre che in arte bisogna uccidere i padri e rivalutare i nonni. Ecco, Questi è stato il “nonno” ideale che un paio di generazioni di registi e scrittori italiani dovrebbero finalmente scoprire o riscoprire. La primavera di Giulio, forse, è appena cominciata.
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