Oscar a Birdman, Hollywood premia sé stessa snobbando Eastwood. Che errore ignorare Timbuktu

Oscar a Birdman, Hollywood premia sé stessa snobbando Eastwood. Che errore ignorare Timbuktu
di Fabio Ferzetti
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Lunedì 23 Febbraio 2015, 13:51 - Ultimo aggiornamento: 3 Marzo, 17:00
Tutto come previsto, o quasi. Erano in molti a pensare che alla fine il grande successo negli Usa e nel mondo di American Sniper avrebbe sconvolto le previsioni della vigilia. Invece è andata proprio come gli osservatori più accreditati prevedevano. Ignorato a Venezia, il bellissimo Birdman si è rifatto con gli interessi agli Oscar.



Va notato che per la seconda volta consecutiva la statuetta del miglior regista va a un messicano (l’anno scorso toccò a Cuaron con l’ammaliante Gravity). Non è cosa da poco. Ma è ancora più sorprendente scoprire che Birdman negli Usa ha avuto un successo molto relativo: meno di 40 milioni al box office (American Sniper, da solo, ha incassato in patria più degli altri 6 candidati messi insieme). Evidentemente i votanti dell’Academy hanno anche reagito secondo una specie di ”orgoglio profesionale”: un film che parla di recitazione e messa in scena esercita un fascino sicuro sui professionisti di Hollywood, e basta pensare ai recenti trionfi di Argo, The Artist o Il Discorso del Re, per convincersene.



Scontatissime le vittorie di Julianne Moore e Eddie Redmayne: la malattia vince sempre agli Oscar. La professoressa che scopre di avere l’Alzheimer, personaggio di fantasia, e lo scienziato che convive da decenni con una malattia devastante (vero stavolta: Stephen Hawking) erano due cavalli vincenti in partenza per i due attori, peraltro bravissimi (noi avremo preferito lo Steve Carell tutto understatement di Foxcatcher, ma questo è un altro discorso).



Benissimo i due premi ai non protagonisti: J.K. Simmons in Whiplash e Patricia Arquette in Boyhood disegnano personaggi che si scolpiscono nella memoria e risarciscono due film molto sottovalutati, soprattutto Boyhood, dato per favorito ma troppo lontano dal gusto mainstream per imporsi. Peccato invece che non ce l’abbia fatta il magnifico Timbuktu, non solo più drammaticamente attuale, ma ancora più rischioso e inventivo del pur bellissimo Ida, che si è portato a casa la statuetta come miglior film straniero.



Un premio al mauritano Sissako avrebbe avuto anche uno straordinario significato politico (quest’anno i concorrenti erano tutti bianchi, come è stato sottolineato). E non per il colore della pelle del regista, ma perché rappresenta un cinema orgogliosamente minoritario e un continente traboccante di storie e di talenti che non era mai arrivato agli Oscar. Poco male: Timbuktu ha appena trionfato in Francia ramazzando ben 7 César. Ma resta un'occasione mancata per l'Academy.
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