Appia, la gang delle torture: trovato un dito mozzato. Dalle gambizzazioni all’omicidio Fiore: arrestati in sette

Era in una busta vicino a una mannaia con droga e armi in un b&b sull’Appia

Appia, la gang delle torture: trovato un dito mozzato. Dalle gambizzazioni all’omicidio Fiore: arrestati in sette
di Alessia Marani
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Mercoledì 20 Marzo 2024, 00:07

Una mannaia sporca di sangue e accanto una bustina di cellophane con dentro una porzione di dito ancora ben conservato in un liquido. Non è la scena di un film horror ma quanto spuntato nel corso di una perquisizione dei poliziotti del commissariato Appio in un b&b usato come covo e deposito per armi e droga dalla rete dei pusher legati alla gang delle torture arrestata dalla Squadra Mobile pochi giorni fa come mandante dell’omicidio del carrozziere Andrea Fiore, al Quadraro, e della gambizzazione di Alex Corelli e Simone Daranghi, lo scorso anno, a Morena. 

COLLABORATORI

Racconta Marzia De Lumé già fermata perché custode di un arsenale ospitato per conto della banda e inizialmente decisa a collaborare con la giustizia per tirarsi indietro: «Hanno lavorato per noi dei ragazzi stranieri arrestati dalla polizia a San Giovanni con droga e armi che detenevano per conto di Marco (Turchetti, alias “Er Murena” o “Salvone”, ndr)...

Seguirono tale Chicco (Mamadou Youssun Mbaye, ndr) che per noi faceva la retta, ma lui fuggì. Nel corso della perquisizione mi ricordo che la polizia trovò anche un dito, ma non so di chi fosse. Tempo dopo Marco e Giacomo (Daranghi, lo “zio”, altro capo del sodalizio, ndr) mi dissero di andare dall’avvocato dei ragazzi per sapere cosa fosse accaduto. E l’avvocato mi disse anche del dito». Nel b&b all’inizio della via Appia, tra l’altro, c’erano 3 pistole, un fucile calibro 12 e una mitragliatrice.

Il dito apparterrebbe a un giovane meritevole, secondo la banda, di una punizione esemplare. E perché quanto capitato a lui fosse da monito per altri, l’arto mutilato era stato conservato in modo da poterlo mostrare. La stessa De Lumè confida ai poliziotti di essere terrorizzata «perché quelli sparano e lo hanno fatto per davvero». Lo sa bene anche Daniele Viti, già in carcere come esecutore materiale del delitto Fiore. «Il metodo dello zio era: prendere un soggetto, sequestrarlo e torturarlo senza farsi scrupoli», dice a verbale. Come nel caso di Samiro Jarabi (indagato) da cui il commando voleva informazioni su dove trovare Mirko Carbone (indagato) sparito dopo avere accumulato un debito di 80mila euro con la banda. Il ragazzo viene prelevato dalla sua abitazione e portato in campagna. In auto con lui c’è anche Danilo Rondoni (anch’egli in carcere per l’omicidio del carrozziere) ed è da lui che Viti viene a sapere che «lo zio diede l’ordine di tagliargli un dito, ma il ragazzo pianse dicendo che preferiva gli sparassero invece che mutilarlo». Samir non va nemmeno in ospedale, «il Rondoni gli portava i medicinali per medicarsi».

Via telegram in maniera pressante davano indicazioni su come agire Salvone (nickname scaricoforteechiaro) e Daranghi (Crimin) così spietato da avere dato ordine di sparare al fratello reo di avergli insidiato la moglie. Per conferma viene inviato loro un «video con Samir che tira giù i pantaloni per mostrare a favore di telecamera l’arto inferiore ancora sanguinante. La banda gestiva un giro di spaccio, specie di hashish, tra il Tuscolano e Montespaccato. Con alle dipendenze “drivers” per le consegne e fidati corrieri per l’importazione dello stupefacente. Uno di questi era Luigi Finizio, cognato di Angelo Senese, ucciso il 13 marzo 2023, amico di Fiore. Il giorno prima di morire “Gigio” aveva compiuto un viaggio a Trento per Daranghi&Co. e nella sua casa (di cui Fiore aveva dato l’indirizzo agli inquirenti) venne trovato oltre 1 kg di hashish. E sempre con Daranghi venne fermato pochi giorni dopo il figlio Fabrizio, lo stesso che i poliziotti filmano mentre spinge un carrello della spesa con dentro sacchi pieni di droga. 

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