Il nostro tempo perso a non perdere cose

di Mauro Evangelisti
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Sabato 28 Maggio 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 03:19
Annunciano che s’è smarrito un bimbo e non succede niente. Poi che hanno trovato un cellulare e scatta danza maori check tasca-borsa
Nonna Papavera



Perdiamo energie a non perdere cose. E quando tappi con una mano una falla, se ne apre un’altra che blocchi con un piede, ma poi ti accorgi che se ne sta creando un’altra e un’altra ancora. Sono le nostre vite smarrite a non smarrire cose, ancora più sciagurate nella frenesia romana. Vent’anni fa, più o meno, dovevi fare attenzione a non perdere il portafogli, carta d’identità e chiavi, per il resto la tua mente era sostanzialmente libera di vivere. Oggi non è più così: tablet, smartphone, cavetti, caricabatterie, telecomandi, badge, carte di credito, bancomat, chiavi di casa, dell’auto, dello scooter, tessera sanitaria, carta di credito, postepay, passaporto, pass per la Ztl, abbonamento della Roma o della palestra, occhiali da vista e occhiali da sole, a volte ti perdi la macchina intera nell’immensità di un parcheggio, e via di questo passo. A questo si aggiunge una serie di oggetti virtuali: le famigerate password, gli sfuggenti codici pin, i misteriosi puk e ri-via di questo passo. Giorno dopo giorno, tenti di governare la galassia impazzita delle cose, a crearti una lunga sequela di paracaduti: la seconda chiave della macchina in un cassetto, quelle di casa di riserva dalla cognata, le password o i pin inviati su un indirizzo mail di emergenza, solo che quando ne hai bisogno ti accorgi che ti sei dimenticato anche la password di quella mail. E poi c’è la volta che disperato chiami il tuo numero alla ricerca del cellulare scomparso, ma ti ricordi, terrorizzato, che avevi tolto suoneria e vibrazione per non avere scocciature. 

mauro.evangelisti@ilmessaggero.it
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