L’importanza di una buca alla giapponese

di Maria Lombardi
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Venerdì 18 Novembre 2016, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 00:59
Perché non chiamiamo i giapponesi per le buche di Roma?
@maui_74

Vita, morte e resurrezione di una voragine. L’asfalto si squarcia all’improvviso, capita ovunque in questa città friabile. Arrivano i vigili e comincia il balletto. Chiamano i tecnici del Comune che guardano e dicono: vabbè c’è la buca. Poi arrivano quelli che mettono le transenne e lasciano la buca a macerare per due settimane. Poi fa un sopralluogo l’ingegnere che avvisa l’ufficio voragini, poi viene spedita la squadra per i lavori ma quel giorno piove. Rimandiamo, che fretta c’è? Nel frattempo la voragine è diventata un laghetto, un contenitore per rifiuti, uno scavo archeologico. Mesi dopo, in un’altra stagione, il baratro non c’è più. Ricomincia il valzer, tornano quelli del Comune e dicono ben fatto, quelli delle transenne e le tolgono, i vigili riaprono la strada. Contenti? Macché, qualche giorno dopo la buca sparita si riapre, è risorta. Miracoli sulle strade di Roma. Ci si ride su, in tv all’edicola Fiore, con «la scaletta» della voragine di via di Vigna Stelluti, un guaio di soli quaranta centimetri. Però adesso vergogniamoci un po’. A Fukuoka, sud del Giappone, ci hanno messo 48 ore per riparare una strada crollata, si era aperto un cratere largo trenta metri e profondo quindici. Hanno sostituito anche i semafori e i pali della luce inghiottiti nella frana, riparato la fogna, disegnato nuove strisce. «Caro sindaco di Fukuoka, gradirebbe per caso fare uno stage a Roma?», su Twitter lo invocano in tanti. E magari porti in omaggio a Roma un po’ di buche giapponesi, quelle che durano due giorni appena.

maria.lombardi@ilmessaggero.it
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