«Un giorno mi sono imbarcato su un cargo battente bandiera liberiana...» e a bordo incontro un mozzo che odia la stiva puzzolente «ma ancor di più l’Unione Europea». Ma ecco «le tribù indigene che come noi si sentono schiacciate dalla modernità». Ecco «le camicie stirate da mamma». Ecco «i poverissimi contadini guatemaltechi: erano felici, non avevano vestiti e si passavano le scarpe tra fratelli ma stavano sempre insieme, mai da soli». C’è l’agricoltore Pippo e lo zapatismo, le «verdure grigliate» mangiate a bordo del cargo e il napoletano che gli si avvicina mentre lui mastica e rivolto agli altri presenti: «Maronna che soddisfazione! C’è Di Battista, quello dei 5 stelle!». La gioia di Dibba di sentirsi Dibba è davvero uno spasso. E Roma che ha dato tanto alle patrie lettere, adesso ha prodotto un pregiato, e precoce, autore di narci-memorie.
mario.ajello@ilmessaggero.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA