Memorie di Dibba, tra Albertone e Fantoni

di Mario Ajello
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Domenica 4 Dicembre 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 18:20
Ma no. Dibba è godimento puro. Non parliamo del sommo Agostino Di Bartolomei, che ci ha lasciato purtroppo e da tanto tempo ormai. Ma del nuovo Dibba che si aggira sulla scena di Roma. Che evidentemente si merita il suo nuovo eroe. Lo vedi spuntare dappertutto Alessandro Di Battista nella Capitale, ma Ale, il bello del grillismo, un po’ Che, un po’ Albertone e un po’ il mitico Manuel Fantoni del «Barotalco» di Verdone, nella sua autobiografia rizzoliana, cioè mondadoriana, cioè berlusconiana e insomma pubblicata dall’odiato establishment («A testa in su», s’intitola) mostra di stare stretto a Roma. Ed è tutto un esotismo, tra Baires e Guatemala, la sua letteratura che è tutta una ricerca di «spremute d’umanità». Qualche chicca: «L’autostop, come fare l’amore, si può imparare».

«Un giorno mi sono imbarcato su un cargo battente bandiera liberiana...» e a bordo incontro un mozzo che odia la stiva puzzolente «ma ancor di più l’Unione Europea». Ma ecco «le tribù indigene che come noi si sentono schiacciate dalla modernità». Ecco «le camicie stirate da mamma». Ecco «i poverissimi contadini guatemaltechi: erano felici, non avevano vestiti e si passavano le scarpe tra fratelli ma stavano sempre insieme, mai da soli». C’è l’agricoltore Pippo e lo zapatismo, le «verdure grigliate» mangiate a bordo del cargo e il napoletano che gli si avvicina mentre lui mastica e rivolto agli altri presenti: «Maronna che soddisfazione! C’è Di Battista, quello dei 5 stelle!». La gioia di Dibba di sentirsi Dibba è davvero uno spasso. E Roma che ha dato tanto alle patrie lettere, adesso ha prodotto un pregiato, e precoce, autore di narci-memorie.

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