Altemps, palazzo delle meraviglie

di Fabio Isman
4 Minuti di Lettura
Sabato 22 Ottobre 2016, 18:28
IL MUSEO
Chi transita nei paraggi, e, non conoscendolo, non ne varchi la soglia, commette un reato grave. Innanzitutto, contro se stesso: perché si nega di vedere uno degli edifici più importanti a Roma, ma anche di ammirare una buona parte della scultura antica nell'Urbe. Quella restaurata magari da Bernini e da Algardi, convocato per l'occasione da Bologna; quella che faceva dire a Johann Gottfried Herder che Johann Joachim Winckelmann era beato tra le 70 mila statue e busti antichi allora conservati in città: oggi, ce ne resta forse un decimo; ma la parte più rilevante, per il collezionismo, è qui: a Palazzo Altemps, vicino a Piazza Navona. Magari, conoscono meglio Sant'Apollinare, che è di fonte, e soltanto perché vi è stata rapita Emanuela Orlandi.

Eppure, l'edificio è del Quattrocento, e ne serba ancora lo stigma: forse l'ultima opera di Leon Battista Alberti; poi rifatto nel secolo dopo, dai maggiori architetti romani: basta guardare l'altana di Martino Longhi il vecchio; o il bugnato di Giacomo Della Porta; per il cortile, è evocato Baldassarre Peruzzi. Ma ancora, Altemps è l'unico palazzo che conserva le spoglie di un santo. Dal papa, le aveva ricevute il cardinale Marco Sittico Altemps, figlio della sorella di Pio IV Medici. Questi fa dipingere dal Pomarancio la cappella di Sant'Aniceto, con strumenti di tortura sulla volta, e una decapitazione sulle pareti. E' quella di Aniceto; però allude a quella di Roberto, figlio naturale del padre cardinale, accusato di adulterio, fatto immolare a 20 anni, nel 1585, da Sisto V Peretti. La sola cappella in cui la famiglia un porporato «vendica» una malasorte, contrapponendosi palesemente al pontefice.

OSPITI ILLUSTRI
L'edificio nasce per i Riario; Girolamo, nipote (o figlio naturale) di Sisto IV della Rovere, sposa Caterina Sforza: sul muro di un salone, forse di Melozzo da Forlì, i piatti di peltro e argento, i doni di nozze, anche i biglietti di auguri. Poi, il cardinale Francesco Soderini chiama Antonio da Sangallo il Vecchio a sistemarlo, Polidoro da Caravaggio a dipingerlo. Vi abita Innocenzo Cybo, un altro porporato illustre. Vi risiede l'ambasciatore spagnolo; il cardinale Altemps; vi si fonda l'Accademia dell'Arcadia, vi nasce il primo teatro (poi Goldoni), ci vive, e compone, Metastasio, vi suoma Mozart. E' sede del diplomatico francese cardinale Melchior de Polignac: la nascita del delfino di Francia nel 1729, è celebrata con una festa che coinvolge Piazza Navona (una «macchina» più alta dell'obelisco) con tutta Roma; nel cortile si suona un'opera apposta, 3 mila invitati. Infine, passa in eredità, agli Hardouin: uno ha come marito della figlia Gabriele D'Annunzio. Contrasti, e l'immobile va alla Santa Sede; nel 1982 l'acquistano i Beni culturali: diventa il museo sopraffino che oggi è. Troppo poco conosciuto.

LE COLLEZIONI
Qui si ritrova quanto resta della collezione Altemps: solo 16 delle originali 143 sculture; le altre disperse, come la straordinaria biblioteca.
E circa cento già Ludovisi: il cardinale bolognese Ludovico era nipote di Gregorio XV; ne avrà 339, e lo Stato ne acquisirà appunto un centinaio. Ce ne sono di favolose, oltre all'omonimo e celebre Trono: un Ares, per Winckelmann «il più bel Marte dell'antichità», un immenso e integro sarcofago, un Galata e tanto altro, tutto restaurato e talora integrato da Bernini, Algardi e altri celebri dell'epoca. Ma non raccontiamo di più: perché mai privare il lettore di una succulenta sorpresa? Un portico conserva ancora i Dodici Cesari, come allora usava: erme tutte allineate; sul tetto dell'altana, lo stemma Altemps, con uno stambecco che s'impenna, ed è Orsini. Ci sono anche le statue del cardinale Paolo Emilio Cesi, con quelle dei fratelli Mattei, i committenti di Caravaggio, e dei Del Drago. Sale ancora affrescate, con degli splendidi fregi e soffitti; lo scalone è ornato da sculture antiche; una sala conserva ancora il nome del Vate; non manca un'interessante collezione egizia. Ma a piazza Navona si va per mangiare il gelato: non a vedere tanta magnificenza. Un vero peccato; anzi, un reato masochista, compiuto contro se stessi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA