Le Foche, parla l'agente che ha fermato l'aggressore: «Voleva ucciderlo a pugni, gli sbatteva la testa contro il pavimento»

Il poliziotto Manuel Basile: «L’ho convinto con le parole a desistere e a uscire in strada. La forza non serviva»

Le Foche, parla l'agente che fermato l'aggressore: «Voleva ucciderlo a pugni, gli sbatteva la testa contro il pavimento»
di Alessia Marani
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Lunedì 9 Ottobre 2023, 22:35 - Ultimo aggiornamento: 11 Ottobre, 08:47

Se Francesco Le Foche, l’immunologo che giovedì è stato massacrato di pugni nel suo studio di via Po da un 36enne ora in carcere, è vivo lo deve a lui. A Manuel Basile, 39 anni, agente scelto di polizia che quel pomeriggio, libero dal servizio, passava in strada e attirato dalle urla che provenivano dal pian terreno del palazzo è entrato fermando l’aggressore. Non ha usato la forza, ma le parole per distrarlo e calmarlo aspettando l’arrivo dei colleghi delle volanti. «Quell’uomo voleva ucciderlo», ne è sicuro il poliziotto che si è rivelato tale solo dopo.

Francesco Le Foche: «Perdono l’aggressore ma senza quel poliziotto forse ora sarei morto»

Manuel cosa è successo giovedì?
«Ero stato a fare una visita lì vicino e stavo camminando verso Termini.

Abito a Fondi (Latina), sono un pendolare con Roma dove arrivo in treno per lavorare al Dagep, la Direzione centrale per gli affari generali e le politiche del personale, nella sezione che si occupa del piano “Marco Valerio” ossia dell’aiuto ai figli di colleghi che hanno problemi di salute. Ho sentito delle grida di terrore provenire da un androne, mi sono precipitato all’interno e davanti ai miei occhi si è spalancata una scena molto, molto forte: un energumeno era piegato su un uomo, il medico, a terra privo di sensi. Gli prendeva la testa e gliela sbatteva con forza contro il pavimento. Intorno c’erano una donna, la segretaria e degli altri pazienti, quasi tutti anziani».

A quel punto lei cosa ha fatto?
«Ho pensato al modo migliore per mettere in salvo tutti quanti, le persone che erano lì e l’uomo a terra. Ho gridato con tutta la voce che avevo in gola “Ma che cavolo fai?”. Lui si è girato verso di me, mi ha guardato e allora io ho iniziato a parlare. Gli dicevo: “Ma ti rendi conto, perché lo hai fatto?”. E quello farfugliava qualcosa, a proposito di una visita che non era andata come pensava o qualcosa del genere, ma blaterava anche cose senza senso».

Le ha parlato del suo cane malato? Pare che dal professore avesse preteso delle cure per l’animale.
«Non mi pare mi abbia parlato di cani, ma era in confusione. A me interessava solo fargli perdere la morsa sul professore».

E come ci è riuscito?
«Ha percorso 4/5 metri e mi è arrivato davanti, col suo viso fronte al mio. Lui è grosso ma anche io non sono piccolino. Ci siamo guardati negli occhi e gli ho detto “dai ora vieni fuori con me, parliamo meglio”».

Che cosa vi siete detti?
«Ho capito dal suo fisico che era uno sportivo, io sono laureato in Scienze motorie e conosco le varie discipline. Gli ho chiesto quale attività facesse e lui ha iniziato a parlarmi della boxe, di un incontro importante che aveva vinto quando era più ragazzo. Nel frattempo era stato chiamato il 112».

Quanto tempo è durata la conversazione?
«Non saprei quantificare in minuti dei momenti in cui la mia adrenalina, nonostante la calma mostrata, era a mille. Ne ho viste tante nel corso della mia carriera, sono stato anche in strada, ma quella scena nello studio, mi creda, è stata choccante. La responsabilità in quei frangenti era tanta».

Alla vista dei suoi colleghi in divisa come ha reagito l’aggressore di Le Foche?
«Ha ricominciato ad agitarsi, “adesso rientro e lo finisco”, ha detto. Ma fortunatamente è andato tutto bene. Prima, però, è arrivata l’ambulanza che ha preso il dottore per portarlo in ospedale. Ho continuato a parlare a una certa distanza con il 36enne per impedire che ostacolasse i soccorsi».

Le Foche non ricorda l’aggressione, non ha chiara la memoria da quando è stato colpito a quando si è risvegliato al policlinico Umberto I. Per fortuna non è in pericolo di vita e le sue condizioni migliorano. Ha detto di essere ben consapevole che il 36enne, boxeur e buttafuori, con precedenti e con dei disagi psichiatrici, avrebbe potuto ammazzarlo. Vi siete sentiti in questi giorni?
«Sì, il professore mi ha telefonato e mi ha ringraziato. “Se non ci fosse stato lei, sarei morto”, il suo commento. Sapere dall’ospedale che era vivo è stato un sollievo enorme. Quella sera sono rimasto a dormire a Roma da un collega per l’agitazione. Il giorno dopo non mi è sembrato vero di avere riportato a casa anche me stesso, riabbracciando mia moglie e mio figlio di tre anni».

Insomma, nello studio di via Po non ha pensato nemmeno per un attimo a usare la forza o un’arma?
«Avrei compromesso la situazione, mettendo in pericolo gli altri. La mia indole mansueta, poi, mi ha permesso di tranquillizzarlo».
 

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