Francesco Le Foche: «Perdono l’aggressore ma senza quel poliziotto forse ora sarei morto»

L’immunologo: «È un soggetto psicolabile mi dispiace molto per lui, non provo rancore. Dovrò subire una nuova operazione all’occhio, ma continuo a combattere»

Francesco Le Foche: «Perdono l’aggressore ma senza quel poliziotto forse ora sarei morto»
di Camilla Mozzetti
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Lunedì 9 Ottobre 2023, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 10:50

«Mi hanno fatto una revisione del globo oculare e sembra che l’occhio stia un po’ meglio, per ora hanno eseguito due interventi. Nei prossimi giorni sarò sottoposto a un’altra operazione sul pavimento orbitario sinistro e speriamo bene, confido in un miglioramento graduale». Il professor Francesco Le Foche, 66 anni, immunologo aggredito da un suo ex paziente, risponde al telefono dal policlinico universitario Umberto I di Roma dove, da giovedì pomeriggio, è ricoverato. Fin da subito tiene a precisare di non provare rancore per quell’uomo, Renato Mauro Morandi classe 1987, pregiudicato, che lo ha selvaggiamente picchiato. E questo in ragione della sua professione: «Essere un medico - dice - di per sé equivale a perdonare». Aggiunge di essere grato al poliziotto che è intervenuto, salvandogli la vita, e di essere convinto di come, in Italia, sia necessario ripristinare l’educazione al rispetto della medicina.

Professor Le Foche, emotivamente come si sente?
«Combatto, l’ho sempre fatto e lo farò anche questa volta».

Giovedì pomeriggio era in studio, aveva svolto delle visite ma dell’aggressione non ha memoria?
«No, assolutamente.

Mi sono risvegliato in ospedale».

Il suo aggressore è stato fermato e trasferito ai domiciliari. Sabato mattina si è barricato in casa quando la polizia lo è andato a prendere per sostenere l’interrogatorio davanti al gip. L’arresto è stato convalidato e l’uomo è stato trasferito in carcere.
«È un soggetto clinicamente psicolabile».

Come ha iniziato ad averlo in cura?
«Aveva avuto dei problemi con una collega in un altro ospedale romano e non voleva più andare a curarsi lì. Portava un busto poiché affetto da una spondilodiscite (un’infezione della colonna vertebrale che interessa il disco e le vertebre adiacenti. Può essere specifica, provocata dai microrganismi della tubercolosi, o aspecifica causata da batteri comuni ndr) per cui l’ho trattato, è andata bene. La malattia di cui era affetto può avere delle ricadute ma non era questo il caso. Lui, in base a quanto mi ha riferito la collega, pare avesse fatto un prelievo e i neutrofili erano alti perché aveva assunto del cortisone per dei dolori alle mani e il cortisone fa aumentare i neutrofili. Si è preoccupato ed era andato in escandescenza».

 

Questo con la sua collega?
«Non c’è una logica, stiamo parlando di una condizione psichiatrica».

Quante volte l’ha visto prima dell’aggressione?
«L’avrò visto due o tre volte, mesi fa».

E poi?
«Mi ha chiamato varie volte per il cane. Aveva un cane malato e me lo voleva far vedere. Gli risposi che non ero un veterinario ma lui insisteva: “Lei ha salvato me, deve salvare anche il cane, lo so che può fare tutto”. Io non mi sono messo a curare l’animale naturalmente. Mi ha mandato anche delle foto su WhatsApp». 

Quindi quest’uomo non ce l’aveva con lei per delle terapie o delle diagnosi improprie?
«No assolutamente, è stato sempre sui generis ma molto gentile, sia lui che la madre. In particolare la mamma. Ho sempre avuto l’impressione, incontrandola, che fosse una persona perbene, però...».

Però vittima del figlio?
«Esatto».

Poi Morandi si è presentato in ambulatorio. Lei ora dovrà affrontare il recupero, vuole tornare al lavoro?
«Assolutamente sì, della vicenda non ricordo nulla, una volta in ospedale la segretaria mi ha raccontato cosa fosse accaduto».

Prova rancore, risentimento?
«No, mi dispiace per come sta, per un soggetto che ha un’evoluzione umana così stravolgente, che non lo fa vivere».

A quest’uomo è stato diagnosticato un disturbo bipolare. Ma secondo lei, da medico, persone del genere non dovrebbero essere seguite?
«Assolutamente sì. Credo però sia difficile seguire un soggetto così perché tende a eludere, anche con me è stato incostante. Non l’ho sentito per mesi durante la terapia».

Vedendolo, sempre da medico, aveva ravvisato delle potenziali anomalie?
«Sia lui che la madre mi dissero che era seguito per cui io non sono andato oltre perché rispetto il lavoro degli altri colleghi».

Lo perdonerebbe?
«Io sono un medico e necessariamente devo perdonare tutti, mi impegno al massimo per curare le persone e i miei pazienti lo sanno bene».

Il suo è un caso che non va confuso con altre aggressioni. Vero però è che gli atti di violenza contro il personale medico e infermieristico sono ricorrenti. Non a caso in molti pronto soccorso sono stati ripristinati i posti di polizia. Che cosa si dovrebbe fare ancora per permettervi di lavorare in sicurezza?
«La cosa più importante è la cultura medica: dobbiamo fare in modo che ci sia una sensibilizzazione rivolta a tutta la popolazione per far capire che i medici svolgono un ruolo fondamentale per il bene e per la salute delle persone. La cosa più importante è la divulgazione, empatica e congrua, a partire dalle scuole, che faccia interpretare alle persone il ruolo fondamentale che può svolgere la medicina. Io sono onorato e orgoglioso di occuparmi degli altri. La persona è al primo posto e se questa ti affida la sua salute, è l’assoluto. Non è il relativo, è l’assoluto. E il paziente deve sapere questo: che io come altri ci impegniamo al massimo per lui. Per cui è inutile la violenza, è contro qualsiasi regola».

Un pensiero per il poliziotto che è intervenuto fra l’altro fuori dal servizio.
«È una persona fantastica che mi ha salvato la vita, gli sarò sempre riconoscente. Gli ho mandato un messaggio per dirgli che vorrei incontrarlo al più presto per ringraziarlo e per abbracciarlo». 

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