Morì di parto al San Giovanni, condannati tre medici: «Intervennero con ritardo»

Morì di parto al San Giovanni, condannati tre medici: «Intervennero con ritardo»
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Domenica 16 Febbraio 2014, 11:13
Era morta a trentotto anni, dando alla luce il suo terzo figlio, una bambina. Nella sala parto dell'ospedale San Giovanni, Lara, una ragazza romana, prima di perdere la vita, aveva fatto in tempo a vedere la piccola, nata dopo un parto cesareo difficile. Ma poi, in un attimo, quel giorno di felicità si era trasformato in una tragedia. Secondo i giudici del tribunale di piazzale Clodio, la colpa di quel drammatico evento è da addebitarsi ai due ginecologi, C.P. e M.F., che non valutarono adeguatamente l'emorragia verificatasi dopo il cesareo e indugiarono quando si trattava di decidere se effettuare o meno l'asportazione dell'utero. Ma i due medici, secondo la corte, non furono gli unici responsabili della morte di Lara. Infatti G.G., l'anestesista, procurò in ritardo, «quando la paziente era già in agonia», le sacche di sangue necessarie alla trasfusione. Per questo motivo la scorsa settimana, il tribunale ha condannato i due ginecologi dell'ospedale San Giovanni a quattro mesi di reclusione. L'anestesista invece ne dovrebbe scontare sei, anche se la pena al momento è sospesa. Una sentenza che si aggiunge a quella ottenuta dalla famiglia in sede civile: un risarcimento di un milione e mezzo da parte dell’Ospedale San Giovanni.



OMICIDIO COLPOSO

Per tutti i condannati l'accusa è concorso in omicidio colposo. Quando il sei marzo del duemilasette Lara, madre di due figli, si era recata all'ospedale San Giovanni, sapeva già che quel parto sarebbe stato più difficile dei precedenti. I medici della struttura ospedaliera avevano infatti optato per un parto cesareo. Durante l'operazione però si erano verificate alcune complicazioni ulteriori, in particolare dei problemi all’utero. E dopo la nascita della bambina, l'attenzione dei dottori si era spostata esclusivamente sulla donna.



I RITARDI

I medici presenti in sala parto avevano avuto un momento di esitazione. Un dottore sosteneva che prima di terminare l'intervento, richiudendo il ventre della donna dopo il cesareo, bisognava effettuare un'isterectomia, l'asportazione dell'utero. Gli altri medici invece avevano optato per la chiusura della ferita. Trascorsi alcuni minuti, vitali all'interno di una sala operatoria, i medici si accorsero che la paziente aveva una grave emorragia in corso. Immediatamente i sanitari erano intervenuti rioperando la donna ed effettuando l'isterectomia.

Troppo tardi. A questo punto l'emorragia era copiosa: «Ricordo che c'era tanto sangue» aveva testimoniato in aula uno dei sanitari presenti al momento dell'operazione. In quell'istante si innescava il secondo errore, fatale per la donna. Il sangue necessario per l'operazione infatti non era presente in sala operatoria. L’anestesista aveva impiegato diversi minuti per portare le sacche: «Per essersi procurati in ritardo, quando la paziente era già in agonia - si legge nel capo d'imputazione - le sacche di sangue necessarie per la trasfusione». Era morta così Lara, dopo aver appena conosciuto la sua terza figlia. Secondo la procura, la negligenza, l'imprudenza, l'imperizia, «nonché la violazione delle regole dell'Ars medica» furono i fattori responsabili della morte della paziente.
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