Raffaele Cantone: «Roma bloccata, deve ripartire»

Raffaele Cantone: «Roma bloccata, deve ripartire»
di Sara Menafra
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Venerdì 21 Luglio 2017, 23:51 - Ultimo aggiornamento: 23 Luglio, 13:42

La burocrazia blocca ancora Roma. La macchina non funziona, è difficile rintracciare i centri decisionali persino per noi di Anac. Ma passata la sentenza non ci sono più scuse: l’amministrazione deve scegliere le priorità e ripartire». Per il presidente di Anac, Raffele Cantone, la sentenza dell’altro giorno è l’occasione per fare un punto sulla città, oltre che sulla decisione relativa alla mafia.

Presidente, prima di dedicarsi alla guida dell’Authority anticorruzione, per anni ha guidato importanti indagini sulla criminalità organizzata. Impossibile non chiederle cosa pensa di questa sentenza, anche per come ha raffigurato la gestione delle giunte prima di Alemanno e quindi di Marino.
«Non è solo una frase di rito dire che prima di esprimere un giudizio completo bisognerà leggere la motivazione, che al momento non abbiamo. A mio avviso, ci sono tre elementi importanti: è stata confermata l’esistenza di un’associazione che si occupava di attività corruttive, che hanno riguardato dieci anni di amministrazione a Roma. Secondo aspetto: è decisivo notare come questo processo si sia chiuso in tempi ragionevoli. Infine, questa è una sentenza con una durezza che non ha precedenti in termini di gravità delle condanne. Va dunque ascritta come un fatto positivo perché è stato smantellato un centro di potere illecito. Invece, sembra tutto passato in secondo piano, perché non è stata riconosciuta la mafia, come se essere condannati per corruzione fosse un reato di serie b».

Resta la domanda: mafia capitale è mafia oppure no? Lei un’idea se l’è fatta?
«Proprio perché mi sono occupato di criminalità organizzata, so che le sfumature possono essere fondamentali. Il punto, molto delicato, è la valutazione del livello di intimidazione che questa organizzazione era in grado di esprimere. Il paradigma è sempre stato strutturato basandosi sulle organizzazioni classiche: camorra, ‘ndrangeta, mafia. Con questa indagine, la procura di Roma ha provato a dare una impostazione diversa, innovativa rispetto al 416 bis e io credo che la sentenza ci farà capire dove, per il collegio, è stato il discrimine. Non c’era intimidazione o non era una intimidazione paragonabile alle altre mafie? In ogni caso, capisco e credo sia corretto che la procura voglia impugnare la decisione di primo grado. Ma mi faccia dire una cosa».

Prego.
«A me sono sembrate stonate due valutazioni fatte a caldo. Prima di tutto: qualcuno ha detto che è stato restituito l’onore a Roma. Bene, io ho detto in tempi non sospetti che non si poteva sciogliere il comune di Roma per mafia, ma arrivare ad una posizione negazionista perché si è esclusa, per il momento, l’esistenza di un’organizzazione autoctona è un errore. A Roma tutte le organizzazioni mafiose tradizionali hanno vere e proprie ambasciate, mi passi termine, dunque, forme di giubilo non sono giustificate. Allo stesso modo non mi sembra corretto dire che la procura è stata sconfitta. Non è mio interesse difendere i pm, ma voglio ricordare che la dialettica processuale non ha sconfessato il fatto che all’interno del comune c’era un’organizzazione criminale di primissimo livello».

Dalle retate del dicembre 2014 sono passati due anni e mezzo, perché la città è ancora bloccata?
«Gli elementi, a mio avviso, sono molti. Il fatto che i dirigenti sotto indagine a vario titolo siano un terzo del totale, ad esempio, non è accettabile e non aiuta a far funzionare la macchina amministrativa. In questa città è ancora troppo difficile operare per far ripartire i cantieri e le attività amministrative. La macchina continua a non funzionare e a bloccare la città. Persino noi di Anac abbiamo problemi a raccordarci con la macchina del comune».

Ha un esempio in mente?
«Stiamo supervisionando gli appalti per i lavori del Giubileo. Io non voglio fare polemica, ma se era legittimo considerare che si potessero usare i fondi anche per gare bandite prima della ricorrenza, è forse più singolare che gli appalti siano ancora in corso ed abbiano bisogno della nostra supervisione. Che sia o meno mafia quella che è stata scoperta, questa indagine è stata uno choc che poteva essere benefico se avesse dato il via ad una nuova azione amministrativa».

Perché non ci si è riusciti?
«Sicuramente c’è stata una difficoltà politica, il crollo della giunta Marino, il commissariamento, la nuova guida che, almeno originariamente, ha avuto dei problemi. Ora però il tempo degli alibi è finito: serve un’amministrazione che sia all’altezza della sfida».

Cosa si può fare?
«Gli enti locali pagano lo scotto di non poter fare assunzioni, mentre sarebbe necessario fare nuovi innesti, consentire il rinnovamento di una classe burocratica fortemente colpita dalle indagini».

Come funziona la vostra nuova collaborazione con il comune?
«Stiamo lavorando su due piani diversi. Da un lato c’è un protocollo di vigilanza collaborativa, dall’altro un tavolo di confronto. Il tavolo è nato con il prefetto Tronca, per confrontarsi sui problemi e consentire di fare periodicamente la radiografia della situazione e indicare le strategie di applicazione delle procedure anticorruzione. Questo esperimento è rimasto in stand by per un periodo poi è ripartito. Altro tema è il protocollo di vigilanza collaborativa sugli appalti che vengono considerati delicati, anche questa è un esperienza importante e utile».

C’è un però?
«La nostra principale difficoltà è interloquire con una dirigenza che non ha una struttura chiara. Facciamo fatica a trovare gli interlocutori giusti, a volte abbiamo dovuto parlare con più uffici diversi per conoscere una decisione. Ora il sindaco ha detto che creerà una struttura che individui le responsabilità e i centri decisionali. E’ il punto vero: è necessaria una messa a regime della macchina amministrativa».

Come?
«Le scelte le fa la politica. Noi chiediamo di avere interlocutori da cui avere risposte».

Lei però un suggerimento potrebbe darlo...
«Prenda il caso del Giubileo che dicevamo prima. Non c’è nessuna struttura unitaria che decida, pare che sarà indicato il vice segretario comunale ma al momento riceviamo atti da uffici diversi e a volte l’uno non sa cosa fa l’altro».

Per i residenti l’emergenza vera sono le municipalizzate...
«Sia su Atac sia su Ama abbiamo fatto varie attività, entrambe scontano il passato, una vera e propria zavorra. Ora serve un managment all’altezza ma anche in grado di assicurare livelli di efficienza adeguati alla città».

In più occasioni il tribunale ha dato pene più alte delle richieste, ma nel caso di Luca Odevaine ha addirittura triplicato rispetto alla proposta dell’accusa. E’ un segnale sul rischio che la vicenda della spartizione degli appalti per l’accoglienza ai migranti è stata sottovalutata?
«Credo che la differenza di valutazione sia stata soprattutto sull’impegno collaborativo di Odevaine del quale, evidentemente, il collegio non è convinto. Sicuramente però il ssettore dell’accoglienza ai migranti è oggettivamente quello più a rischio. Forse non a Roma, dove dopo l’inchiesta sembra esserci un’attenzione maggiore, ma generalmente l’approccio è che chi ti riesce a fornire una soluzione viene considerato semplicemente benvenuto senza fagli troppe domande».

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