Rieti, spazi ampi e Università. Il commissario Asl Maccari: «Il nuovo ospedale deve essere vicino alla Salaria»

Mauro Maccari
di Antonio Bianco
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Martedì 9 Aprile 2024, 00:10

RIETI - Nel marzo dell’anno scorso l’allora neopresidente della Regione Lazio, Francesco Rocca ,nominava Mauro Maccari commissario dell’Azienda sanitaria locale di Rieti. Il 26 maggio il manager romano si insediava al blocco numero uno di via del Terminillo. In questa intervista a Il Messaggero, Maccari non solo traccia un bilancio del suo primo anno alla guida dell’azienda sanitaria reatina, ma ha parlato anche di quelle che saranno le prospettive future, iniziando dal nuovo ospedale de Lellis. 
«Questo primo anno è stato improntato sulla presentazione di uno stile di direzione – spiega – che punta molto sulla squadra. Devo dire che una parte degli obiettivi che c’eravamo prefissati è stata raggiunta, nel senso che oggi sicuramente c’è un clima più sereno nella nostra azienda. E questo nonostante i cambiamenti organizzativi risultano sempre difficili anche per il personale, come nel caso del nuovo pronto soccorso. Penso che i cittadini si rendano conto loro stessi di questi cambiamenti. E credo che questo sia uno degli elementi su cui, come direzione, abbiamo puntato di più. Penso che la gente oggi vuole vedere i fatti, delle chiacchiere non sa che farsene». 
Sicuramente uno dei temi di grande interesse si è trovato ad affrontare è quello del nuovo de Lellis. 
«Noi abbiamo una grande opportunità, che è quella di poter decidere sulla realizzazione del nuovo ospedale. Quando sono arrivato ho trovato un lavoro preparatorio (il famoso studio di fattibilità, ndr), che in quel momento era il progetto corretto da fare. Ma oggi che ci sono nuove prospettive, mi chiedo: il nuovo ospedale può essere compatibile con il vecchio progetto? La scelta che abbiamo fatto è una scelta un po’ più impegnativa. E, quindi, non ci si può fermare al vecchio progetto. Credo che alcuni aspetti siano stati decisivi per aprire una nuova riflessione. Il primo, l’apertura della facoltà di Medicina della Sapienza che avrà bisogno di spazi dedicati all’insegnamento. Un altro aspetto che diventa decisivo è quello toponomastico, perché dovrà essere costruito preferibilmente sulle direttrici principali della città, anche per avere uno sbocco facile verso quella che sarà la nuova Salaria». 
Mi sta dicendo che il nuovo de Lellis potrebbe essere costruito non più vicino al vecchio, ma addirittura da un’altra parte? 
«Potrebbe. Però credo che questo sia un aspetto sul quale sarà la politica a prendere una decisione. Siamo in un ambito democratico, i tecnici portano tutte le idee a supporto delle decisioni. Mentre la politica ha la responsabilità di decidere quali siano le priorità da portare avanti. Non è che il vecchio progetto sia stato dato alle fiamme, sto dicendo semplicemente che nessuno pensava al discorso della nuova facoltà di Medicina, nessuno pensava alle alleanze con i grandi ospedali romani. Forse, ora un minino di riflessione va fatta. Un aspetto su cui dobbiamo puntare nel rapporto con la facoltà di Medicina è cercare di dare un taglio territoriale ai nuovi medici». 
Ossia? 
«Oggi ci si rende conto che con le malattie croniche diventano il momento sui cui si fanno le grandi strategie in sanità. Sempre meno persone vanno curate in ospedale e sempre più sul territorio. Su questo il polo di Rieti potrebbe dire qualcosa di più, perché si trova in un’area olograficamente disagiata e una situazione in cui esistono molti pazienti anziani con malattie croniche. Quindi, oggi bisogna avere una visione un po’ diversa della medicina, non più un’università ospedalocentrica, ma pensare anche a una università diffusa sul territorio dove gli studenti, insieme ai medici di famiglia e ai docenti della Sapienza, riescano a gestire questi pazienti nel loro domicilio. Questa è la grande scommessa di oggi». 
E la famosa trattativa con l’Inail sui tassi di interesse va avanti? 
«Penso proprio di sì. Il piano di realizzazione dell’ospedale sta andando avanti. Ognuno deve fare la propria parte. Noi come tecnici diamo il nostro contributo, mentre i politici faranno le loro scelte strategiche. Però devo dire che quando ho incontrato il presidente della Regione Francesco Rocca ha sempre mostrato una grossa responsabilità nei confronti di questo territorio». 
Importante diventa dunque il rapporto con La Sapienza. 
«Grazie a questo rapporto è nata la sede distaccata di Medicina, che partirà con il nuovo anno accademico. E anche qui abbiamo fatto parte di una ampia sinergia che ha portato a questo risultato, che io definisco il grande obiettivo strategico per questa città. Perché parliamo di una università che è tra le migliori del mondo. Non è solo una questione di mettere una bandierina sopra un palazzo, ma si tratta di entrare in una rete di formazione che è di grande livello». Sulla cosiddetta clinicizzazione a che punto siete? 
«Quando la facoltà di Medicina partirà, non partiranno i sei anni di corso tutti insieme, ma ci sarà un’attivazione di anno in anno. Considerando poi che i primi tre anni sono di base, dal terzo in poi inizierà la parte che ci interesserà di più. E qui sarà importante la collaborazione che ci sarà tra i clinici di Rieti e i professori della Sapienza. Quello che vogliamo non è una competizione tra ospedalieri e universitari, che credo sia stato un elemento su cui sono fallite alcune esperienze». 
Quali sono le altre novità? 
«Noi vogliamo alzare il livello di qualità, non solo con la facoltà di Medicina, su cui dovremo scrivere un lungo percorso con loro, ma anche attraverso la riattivazione della collaborazione con l’importante struttura dei trapianti del San Camillo di Roma, per cui due volte al mese il professore Ettorre viene qui.

I reatini non hanno più necessità di andare in grandi centri, ma praticamente si trovano un grande chirurgo che viene ad operarli a Rieti. Questo è un importante progetto per il territorio, perché in questo modo anche chi non ha la possibilità di andare da qualche grosso luminare, ha la possibilità di farsi curare in sede, ai massimi livelli».

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