Fara, ritorno del carro sabino:
un percorso ad ostacoli

Carro ricostruito
di Raffaella Di Claudio
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Venerdì 10 Aprile 2015, 05:57 - Ultimo aggiornamento: 23:41
FARA SABINA - «Fatta salva l'attendibilità dell'intento del museo Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen, manifestato dall'archeologo Jan Kindberg Jacobsen, di restituire il Carro del Principe Sabino all'Italia, ci attiveremo da subito per intraprendere iniziative finalizzate a sciogliere i nodi di quella trattativa tra Italia e Danimarca, interrotta nel 2010, per giungere alla restituzione del carro».



A parlare è Alessandro Betori, responsabile della provincia di Rieti per la Soprintendenza Archeologia Lazio e Etruria meridionale. E' venuto da poco a conoscenza del clamore suscitato dalla puntata del 6 aprile della trasmissione Rai, Petrolio, condotta da Duilio Giammaria, nel corso della quale sono stati riaccesi i riflettori sul carro del principe Sabino venduto al museo di Copenaghen dopo essere stato illegittimamente trafugato, alla fine degli '60 da quello che nel 1972 sarebbe diventato il sito archeologico di Montelibretti Roma 1, sui terreni prima di proprietà militare poi affidati dallo Stato al Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) che li è sorto.



LA RICOSTRUZIONE

«All'inizio dei lavori per costruire gli attuali edifici del Cnr - ha ricostruito il direttore del museo civico archeologico di Fara Sabina, Maria Luisa Agneni - si sono imbattuti nella tomba 11. Da subito capirono di essere di fronte a qualcosa di importante. Quindi iniziarono gli scavi, diretti da Massimo Pallottino, cui prese parte Paola Santoro.



Ci si accorse che quella tomba era stata violata ed emersero altri reperti, compresa la carpenteria del carro, che sono attualmente custoditi nel nostro museo, che venne realizzato a Farfa nel 1970 da Francesco Leggio. Visto che all'epoca, seppur rivenuti nel suo territorio, Montelibretti non manifestò interesse nei confronti dei reperti, questi vennero custoditi a Farfa, dove rimasero fino al trasferimento nell'attuale sede farense del museo acquistata dall'amministrazione Perilli nel '95. Ci volle molto tempo a capire dove fosse finito il carro. Poi si risalì al museo di Copenaghen. Eravamo agli inizi del 2000, l'allora sindaco Leggio andò a visitarlo. Poi, nel 2003, venne inserito tra i beni da recuperare insieme ad altri che hanno già fatto ritorno in Italia. Da allora della vicenda se ne sta occupando l'avvocatura dello Stato. La disponibilità espressa dall'archeologo danese ci fa ben sperare».



Considerato che i resti di quella tomba risiedono a Fara Sabina, sembrerebbe naturale, se la restituzione andasse in porto, che il carro fosse esposto nel museo del secondo Comune della provincia.



L'ITER

Ma non sembra così scontato. «E' chiaro che Fara Sabina è la maggiore indiziata ad accogliere il carro - ha detto Betori - ma non sta a me dirlo e non è una cosa che può essere detta adesso. Anzitutto informerò la soprintendente Alfonsina Russo che stabilirà tutti i passi da compiere, a partire chiaramente dalla ricostruzione di tutte le fasi della vicenda, riprendendo il dossier che la riguarda e analizzando tutti gli atti formali compiuti fino ad oggi dal nucleo tutela».



hi si dice invece convito del fatto che il Carro del Principe Sabino debba fare ritorno a Fara Sabina, sono i membri della neonata associazione Fara 2020 che ha portato il caso all'attenzione dell'Amministrazione comunale di Fara Sabina, chiedendo di «intervenire al fine di favorire il ritorno del carro a Fara».



«L'interesse della nostra associazione che ha fini culturali - ha dichiarato Alessia Scacchi, membro del coordinamento Fara 2020 - è anzitutto la cultura del territorio. Sollecitati dalla trasmissione del 6 aprile, abbiamo voluto porre l'attenzione su una storia che conosciamo bene, volendo far cogliere al nostro museo l'opportunità, emersa dalle parole dell'archeologo danese, di riavere il maltolto. Ci auguriamo che le istituzioni si siano interessate e si stiano attivando per far rientrare in patria il carro. Noi ci attiveremo perché questo possa realizzarsi».