Riforme, Berlusconi sente il premier: «Non faccio saltare il tavolo»

Silvio Berlusconi
di Marco Conti
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Martedì 8 Aprile 2014, 10:59 - Ultimo aggiornamento: 19:29

Io gli impegni li mantengo, ma quel testo va rivisto. Silvio Berlusconi nel tardo pomeriggio di ieri parla al telefono con Matteo Renzi. Il presidente del Consiglio ha appena respinto al mittente l’ultimatum del capogruppo di FI alla Camera per votare la legge elettorale prima di Pasqua. «A che gioco giochiamo», esordisce Renzi che al Cavaliere ha già mandato a dire che le riforme può votarsele a maggioranza, e magari farci sopra un bel referendum confermativo.

COMPETENZE

Il Cavaliere, chiuso nel suo ufficio di Arcore, ha recepito il messaggio e alza il telefono. Conferma il patto del Nazareno ed elenca alcuni punti critici che avrebbe l’impianto contenuto nella bozza di riforma che, peraltro, non è ancora stata depositata dal governo al Senato nè è stata trasmessa al Quirinale. «Non si può decidere che i senatori siano nominati e poi lasciargli la competenza sulle leggi costituzionali e sull’elezione del capo dello Stato», spiega Berlusconi che condivide la preoccupazione espressa nei giorni scorsi anche dal capogruppo Paolo Romani. Ovvero di realizzare una riforma che consegnerebbe alla sinistra un ramo del Parlamento - con poteri non da poco - composto per lo più da propri amministratori locali. Renzi prende nota della disponibilità e rimanda le risposte ai quesiti del Cavaliere alla trattativa in corso. La guerra di nervi si ferma in serata con la nota, promessa dal Cavaliere a Renzi, nella quale Berlusconi accetta il timing del premier spiegando che «non si rimangia la parola data» e che «i patti fondanti» non si toccano. Quindi «non eleggibilità», «non onerosità» di palazzo Madama che «non voterà la fiducia» al governo. Tutti «dettagli» che «in un prossimo incontro con il presidente Renzi sarà possibile mettere a punto». Malgrado lo scambio di reciproche disponibilità, non c’è dubbio che il tira e molla rischia di allungare i tempi. Il ritardo nell’arrivo del testo in commissione a Palazzo Madama, si spiega proprio con il tentativo del governo, e del ministro per le Riforma Boschi, di presentare un testo che non venga stravolto ma soltanto modificato. È ormai evidente che nessuno dei due firmatari del patto del Nazareno farà saltare il tavolo. Berlusconi non vuole però lasciare a Renzi la paternità e la rendita elettorale che deriverebbe dalle riforme. Così come il presidente del Consiglio non può lasciare che il timbro del Pd e della maggioranza di governo sulla terza Repubblica sia uguale, se non più piccolo, di quello berlusconiano. Resta il fatto che la telefonata conferma l’asse tra i due. Un’intesa circoscritta solo alle riforme costituzionali, ma che di fatto dà a Renzi un margine ulteriore di trattativa con il resto della maggioranza e con la minoranza del Pd. Dopo giorni più o meno frastornati, il Cavaliere sembra aver rimesso in riga le varie anime azzurre su due concetti chiari. Il primo: non si abbandona il tavolo delle riforme perché occorre evitare l’isolamento e che il Pd stringa accordi alla sua sinistra. Secondo: il bicameralismo va azzerato e quindi un Senato di non eletti può avere al massimo una potestà consultiva. La fronda interna al partito sembra quindi riallinearsi dietro la triade Toti, Verdini, Gelmini (più Gianni Letta). Questi stessi hanno però avuto bisogno, per imporsi, che il Cavaliere alzasse un po’ la voce e che, soprattutto, riprendesse un po’ di iniziativa politica dopo settimane trascorse con gli avvocati a scrutare le intenzioni dei magistrati di sorveglianza.

RICATTO

A pochi giorni dalla decisione, il cielo sopra il tribunale di Milano sembra meno cupo e si affaccia sempre più concretamente la possibilità di una "consegna" dell’ex premier ai servizi sociali. Un affido che terrà anche conto del ruolo di leader dell’opposizione che ricopre Berlusconi. E’ proprio questa funzione che il Cavaliere non può assolutamente perdere. Ed è proprio il venir meno di questo status "privilegiato" di leader dell’opposizione e prossimo padre costituente, che Renzi gli sventola sotto il naso quando minaccia il voto anticipato. Un voto che, sondaggi alla mano, farebbe perdere all’ex premier quel peso politico che invece le elezioni dello scorso anno gli hanno consegnato, anche al netto della scissione del Ncd di Angelino Alfano.

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