Renzi: «Farsa M5S, se non vince il Pd ci sono i populisti»

Renzi (Ansa)
di Alberto Gentili
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Lunedì 25 Settembre 2017, 09:05 - Ultimo aggiornamento: 26 Settembre, 08:14

«O vincono i populisti, quelli che urlano, o vinciamo noi». Matteo Renzi chiude così, in camicia bianca e sudata d'ordinanza, la festa nazionale dell'Unità a Imola. Il segretario dem è già «in modalità campagna elettorale» e, con ministri e millennials schierati sul palco, in un'ora di discorso indica il «secondo tempo» della partita che dovrà giocare il Pd da qui alle elezioni: «Abbiamo fatto uscire il Paese dalla crisi, adesso dovremo cambiare Europa. Basta con il fiscal compact, si tornerà a Maastricht e ricaveremo uno spazio fiscale di 30-50 miliardi in 5 anni per tagliare la tasse. La pressione fiscale in Italia resta troppo alta e lo diciamo noi che siamo l'unico partito ad averla ridotta».

Riaffermato l'assunto che il Pd «è l'unico argine ai populisti», stabilito che «noi siamo il centrosinistra», Renzi lancia un appello all'unità: «Basta litigi, altrimenti perdiamo loccasione di cambiare l'Italia». E dedica il discorso a martellare senza pietà Cinquestelle, Lega e Mdp di Bersani & D'Alema. Non una parola, tantomeno un attacco, per Silvio Berlusconi.

Ai grillini, che celebrano a poca distanza la loro kermesse riminese, il segretario del Pd riserva le bordate più violente. Nell'ordine. «Noi non siamo dipendenti di un'azienda privata che fa software», la Casaleggio associati. «Noi non scegliamo il capo in base a un principio dinastico, se ne va il padre e arriva il figlio, ma con le primarie dove votano in 2 milioni e non in 37 mila. Qualcuno l'ha definita una farsa...». «Il Pd non aggredisce i giornalisti, gli augura buon lavoro». «Noi abbiamo creato 918 mila posti di lavoro, loro puntano a zero posti e a sussidi per tutti». Segue tweet: «Questo Paese ne ha abbastanza di comici e barzellettieri».

Nel mirino renziano poi finisce Matteo Salvini: «Gridavano Roma ladrona, la lega non perdona. Hanno cambiato titolo, Lega ladrona, Roma ci ha perdonato troppo». «Salvini è andato in Corea del Nord con Razzi, sarà il suo ministri degli Esteri». «Noi non daremo mano libera alle Forze dell'ordine, gli daremo una mano vera. La sicurezza è un valore per la democrazia».

Non manca un capitolo dedicato a Mdp. Ed è corposo. Qui scatta prima un avvertimento: «Leggo che qualcuno vorrebbe smarcarsi sul Documento di economia e finanza per far scattare l'aumento dell'Iva. Ma il voto del 4 ottobre sul Def, i 161 voti necessari per approvarlo, non possono essere oggetto di ricatti o trattative. Nessuno giochi contro l'Italia». Poi arriva la randellata: «Qualcuno alla nostra sinistra ci ha educato alla bandiera e alla Ditta, ma alla prima occasione ha abbandonato entrambe per risentimento personale».

L'ATTACCO A TRE PUNTE
Al Pd, Renzi assegna il compito da qui al voto di marzo di «costruire una proposta credibile per fermare i populisti». Ed è quella «di cambiare l'Europa, creare lavoro e di abbassare le tasse per le famiglie con figli e le imprese che investono». Con un attacco a tre punte, Gentiloni, Minniti e Delrio: «L'amalgama funziona, Minniti fa la destra, Delrio la sinistra. Gentiloni governa e noi lo sosteniamo. Questo non è un partito di singoli, è una squadra». Quasi un passo di lato e la scelta per sé del ruolo di regista, visto che dopo le elezioni è probabile un governo di larghe intese. Non è una novità assoluta. Da tempo, quando non gli scappa la frizione, Renzi parla al plurale: merito del riaffacciarsi del proporzionale che sta riducendo la forza dei leader e restituendo centralità ai partiti.

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