Caso Pd, allarme affluenza alle primarie:
da un sondaggio è allarme disaffezione

Caso Pd, allarme affluenza alle primarie: da un sondaggio è allarme disaffezione
di Nino Bertoloni Meli
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Sabato 9 Novembre 2013, 08:07 - Ultimo aggiornamento: 18:13
ROMA - L’allarme gi scattato dalle parti del Nazareno. Il timore, la paura, il rischio che alle primarie dell’8 dicembre vada a votare molta meno gente delle altre volte.

C’è un sondaggio Demopolis che preoccupa non poco i dirigenti democrat (non tutti allo stesso modo), secondo il quale alle primarie prossime venture solo il 16 per cento degli elettori del Pd intende andare a votare «certamente», a fronte di un nutrito 73 per cento che invece «esclude di recarsi ai gazebo l’8 dicembre», mentre un residuo 11 per cento non ha ancora deciso. Tradotto in cifre, visto che gli elettori democrat sono stati un po’ sopra i 9 milioni, significa che anche l’obiettivo di portare ai gazebo 2 milioni di persone appare al momento un miraggio (le altre volte è stata sempre superata la soglia dei 3 milioni). Il sondaggio riporta anche che Renzi è sempre saldamente in testa con il 66 per cento, che Cuperlo è staccatissimo a un/terzo (21 per cento); Civati al 10 e Pittella al 3. Ma non ne gioisce nessuno, a cominciare dal sindaco.



DELEGITTIMAZIONE

Mano a mano che ci si avvicina alle primarie, i renziani hanno ormai capito che c’è chi gioca a delegittimare la conta, facendo balenare qua e là che per l’elezione del segretario contano più gli iscritti che non «quelli che passano». Rientra in questo clima l’accesa e lunga discussione dell’altro giorno in segreteria sulla campagna delle primarie: dopo il tentativo, andato a vuoto, di mettere in discussione lo slogan ”Le primarie sono aperte” perché, ha sostenuto ad esempio il bersaniano Alfredo D’Attorre, «non si capisce per chi e per che cosa si va a votare», si è poi stabilito di stanziare appena 250 mila euro, a fronte del milione e 900 mila del 2009, primarie Bersani-Franceschini. «Significa che in migliaia di comuni anche grossi avremo difficoltà a mettere manifesti», anticipa Antonio Funiciello, veltroniano che sta in segreteria.



Chi in sostanza avesse in mente di far riuscire male i gazebo, magari di sabotarli per mutilare la vittoria di qualcuno, si sta già fregando le mani, lo spettacolo offerto dal tesseramento dopato e dai congressi fasulli e irregolari, un risultato comunque lo ha raggiunto. La strategia sembra essere quella di buttarla in caciara, inducendo disaffezione. Come che sia, la direzione consultata via mail ha deciso di chiudere il tesseramento da lunedì 11 novembre, con 12 voti contrari, il no di Civati e il sì di Pittella che ha puntato il dito su Cuperlo («fa l’anima bella») e su Civati stesso («doppiogiochista, aveva detto che era d’accordo»). Sei città dovranno rifare i congressi per gravi irregolarità. I luoghi reietti sono Rovigo, Asti, Lecce, Siracusa, Frosinone, Cosenza.



E’ polemica dopo il processo di Renzi al ministro Cancellieri («si doveva dimettere»). Da Letta ed Epifani trapela gelo, mentre D’Alema imputa al sindaco una sorta di attentato al vertice del partito: «La segreteria aveva deciso diversamente, Renzi doveva parlare prima». In serata, nella sua mail, Renzi risponde a tutto e tutti. Congressi: «Si è votato per i provinciali, buon esercizio di democrazia, ma ora contano le primarie». Cancellieri: «Ribadisco che doveva dimettersi, ma non creo problemi a Letta».
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